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Rois et Reine
Anno: 2004
Regista: Arnaud Desplechin;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 06-09-2004


rois et reine

Rois et Reine
In concorso
Regia: Arnaud Desplechin; Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Roger Bohbot; Fotografia: Eric Gautier; Scenografia: Dan Bevan; Montaggio: Laurence Briaud Suono: Christian Monheim; Costumi: Nathalie Raoul; Interpreti: Mathieu Amalric, Emmanuelle Devos, Catherine Deneuve, Valentin Lelong, Jean-Paul Rousillon; Produttore: Pascal Caucheteux Produzione: Why Not Production; Distribuzione internazionale: World Sales Wild Bunch; Anno di produzione: 2004; Durata: 150’; Formato: 1:2,35 scope; Altre indicazioni: 35 mm, colore; Sonoro: Dolby Digital; Versione originale: francese; Origine: Francia;

Sinossi: Rois et Reine racconta due storie separate. Da una parte l’obiettivo centrato di Nora Cotterelle, giovane e abbandonata a se stessa, di sposare un uomo che le vada bene. Dall’altra, la storia del declino di Ismaël Vuillard, uno dei precedenti mariti di Nora, mandato per errore in un ospedale psichiatrico. Le loro vicende si intrecciano quando Nora va a trovare Ismaël per chiedergli di adottare suo figlio Elia. Poi si dividono ancora. Noi seguiamo Nora mentre è costretta ad assistere il padre nella sua agonia. Ricordi da tempo sotterrati vengono di nuovo a galla. Ismaël, conscio del suo tragico destino, se la passa bene in ospedale, passando da un’esperienza grottesca all’altra. Alla fine, Nora e Ismaël si incontreranno per l’ultima volta. Lui non adotterà Elia, dicendo al ragazzo che non può fare niente per lui, che non ha niente da offrirgli. Due storie diverse ma inestricabilmente legate: crude, comiche, malinconiche e dolorose. Due persone: Nora, una donna che si tuffa nei suoi ricordi che minacciano di assorbirla e Ismaël, un uomo rinchiuso eppure sempre proteso verso la libertà.

Essere brutalmente tragico e brutalmente comico. Questo proposito espresso da Desplechin ci dice tantissimo su Rois et reine, film che racconta attraverso sfumature intense i personaggi. Ma sempre per una fertile, fervida, parossistica accelerazione di numerosi dettagli, di frasi, dialoghi, visioni mentali. Come un suggeritore dell’espressione umana Desplechin rincorre lo stato psicologico dei protagonisti. Non si vergogna Desplechin di fare un film quasi totalmente psicanalitico. Con una figura del padre ingombrante e presente anche dopo la morte, ma allo stesso tempo gentile, candida, eppure feroce per la capacità di analisi, per il pragmatismo che deriva dalla spirituale saggezza. Non si vergogna Desplechin delle turbolenze del corpo e della mente tanto da raffigurarle con sottile ironia tra le corsie di un ospedale psichiatrico, luogo in cui si respira l’innocenza del “malato di mente” o piuttosto del sano che è represso da un apparato che pretende da tutti lo stesso ordine fisico psichico. Il personaggio di Ismaël interpretato da quel folletto dei boschi che è Mathieu Amalric è il fondamentale testimone di questo sano disordine, il segno di una coreografia polifonica ribelle che risucchia tutto come un magnete. per questo non si può che scappare, fuggire, quando i guardiani del sistema ti inseguono, Amalric/Ismaël guizza verso altri orizzonti, ma passando attraverso la più pura follia, quella lucida dei sensi.
I personaggi opposti, come Nora, rappresentano l’ordine assoluto del pragmatismo, il savoir vivre spietato che immancabilmente soffoca il sano istinto anzi lo riduce ad asservimento dell’altro. Nora sfrutta i mariti, sfrutta il padre, e gli omicidi di un paio d’uomini (come se fossero oggetti) sono un segnale perturbante del sentimento spietato che spesso si finge inconsapevole.
Il cinema di Desplechin è sempre reattivo di fronte alla materia umana messa in scena. Lavora su incredibile esasperazioni, su esagerazioni del movimento. Tanto che si respira una sorta di circolarità, ma sempre di carattere evolutivo. Il re del titolo può essere il sovrano folle e zoppicante ed infine nudo, quindi la disfatta del regno, la regina allude alla continuazione di uno status, al compromesso con se stessi, all’oscurità dell’anima obnubilata dalla ragione di Stato.
Il cinema di Desplechin è assolutamente politico perché nelle lotte che descrive, indica sempre le roccaforti del potere. I segni autoritari sgretolati attraverso la messa in scena buffa, la totale ridicolizzazione, come la psicanalista nera, goffa e surreale, quasi un corpo da cartone animato. O ancora i servi del sistema o i rappresentanti pagati come gli agenti del fisco pronti all’agguato. Non solo una ridicolizzazione, ma anche l’indicazione flagrante di un’altra possibilità, un altro momento del pensiero. In questo senso la maggiore brutalità voluta da Desplechin si può trovare dallo scostamento rivelatore dalla norma, o meglio dal conformismo formale. Le rivelazioni sono terribili perché rivoltano il personaggio. Ci si rende conto insomma, di una polifonia del singolo personaggio, che può sensibilmente cambiare per piccoli atti propri, per intimi automatismi e mai dando la sensazione che si tratti di snodi di sceneggiatura. Il cinema di Desplechin è sempre in movimento anche all’interno di una sola inquadratura, quando i corpi scivolano in dimensioni che ritraggono solo un fuggevole pensiero, un’emozione piccola e grande.