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Quante volte… quella notte
Anno: 1969
Regista: Mario Bava;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 13-07-2004


La grande guerra

Quante volte… quella notte. Mario Bava. 1969 (1973). ITALIA-RFT.

Attori: Daniela Giordano, Brett Halsey, Dick Randall, Valeria Sabel, Michael Hinz, Ranier Basedow, Pascale Petit, Brigitte Skay

Durata: 90’

 

 

Gianni ferma la sua auto sportiva attirato da una bella e giovane ragazza che porta a spasso il suo barboncino nero. Affascinato dalle forme di lei, Gianni la segue dentro un parco dove riesce a strapparle un appuntamento. La sera invita Tina, questo il suo nome, in una discoteca e alla fine della serata, con un pretesto, la fa salire in casa sua per poi provare ad abusare di lei. La ragazza torna a casa con il vestito strappato e racconta alla madre quanto accaduto. La stessa vicenda è raccontata da Gianni agli amici del bar che gli domandano circa un raschio che l’uomo ha sulla fronte. Per come la racconta Gianni, Tina è una specie di ninfomane alla quale è riuscito a sfuggire solo a tarda serata. Ad osservare quanto accaduto quella notte è stato anche il portiere del palazzo che racconta al lattaio, il giorno dopo, di uno scambio tra Gianni ed una coppia di omosessuali, un lui ed una lei, quest’ultima descritta come colei che ha tentato di abusare della giovane Tina. L’intervento di uno psicanalista chiarisce allo spettatore l’impossibilità di raggiungere la verità e racconta un’altra, possibile, versione dei fatti, più ingenua e pudica.

Per il maestro del terrore, un’infelice divagazione nel genere della commedia pop, prodotta nel 1969 ma distribuita al grande pubblico solo sette anni dopo [i] (per altri dopo quattro [ii]) a causa dei problemi provocati dalla censura [iii]. Da un punto di vista narrativo Quante volte… quella notte ricalca lo schema del nipponico Rashômon (1950) di Akira Kurosawa, tralasciando però tutta una serie di riflessioni fatte dal regista giapponese (sulla morte, l’amore, la gelosia, la passione, la probabile redenzione) per esaltare solo gli aspetti visionari di una narrazione che si frantuma di fronte alla concretezza dei fatti. Girato senza rinunciare al suo stile, adoperando cioè grandangoli e inquadrature plastiche tipiche del cinema horror o thriller, il regista costruisce la storia attraverso un maggiore utilizzo dello zoom, soprattutto in sede di montaggio. Non mancano le concrete intuizioni visive del regista, come lo sguardo di Tina attraverso il vetro rosso, la soggettiva dei personaggi quando si dondolano sull’altalena (per altro già realizzata in Operazione paura (1966)) o la mano dello psicologo che raccoglie l’auto mentre si allontana in campo lunghissimo. Scarso successo di pubblico quando uscì in sala, Quante volte… quella notte rimane in ogni caso un’ottima prova visiva del regista. Tra i crediti di testa compaiono il figlio Lamberto come aiuto regia, mentre le divertenti musiche sono composte da Lallo Gori e le colorate scenografie da Andrea Crisanti. Davvero divertente lo scambio d’opinioni tra il portinaio ed il lattaio sull’omosessualità. Nella versione che ho avuto la fortuna di visionare, il titolo cambia nei pannelli che determinano il passaggio tra il primo ed il secondo tempo, scritto come Quattro volte… quella notte.

                                                                                                                                       

 

Bucci Mario

[email protected]

 



[i] Morando Morandini. Dizionario dei film 2004. Zanichelli

[ii] Marco Giusti. Dizionario dei film italiani Stracult. Sperling & Kupfer

[iii] Paolo Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi