Quante
volte… quella notte. Mario Bava. 1969 (1973). ITALIA-RFT.
Attori: Daniela Giordano, Brett
Halsey, Dick Randall, Valeria Sabel, Michael Hinz, Ranier Basedow, Pascale
Petit, Brigitte Skay
Durata: 90’
Gianni ferma la sua auto
sportiva attirato da una bella e giovane ragazza che porta a spasso il suo
barboncino nero. Affascinato dalle forme di lei, Gianni la segue dentro un
parco dove riesce a strapparle un appuntamento. La sera invita Tina, questo il
suo nome, in una discoteca e alla fine della serata, con un pretesto, la fa
salire in casa sua per poi provare ad abusare di lei. La ragazza torna a casa
con il vestito strappato e racconta alla madre quanto accaduto. La stessa
vicenda è raccontata da Gianni agli amici del bar che gli domandano circa un raschio
che l’uomo ha sulla fronte. Per come la racconta Gianni, Tina è una specie di
ninfomane alla quale è riuscito a sfuggire solo a tarda serata. Ad osservare
quanto accaduto quella notte è stato anche il portiere del palazzo che racconta
al lattaio, il giorno dopo, di uno scambio tra Gianni ed una coppia di
omosessuali, un lui ed una lei, quest’ultima descritta come colei che ha
tentato di abusare della giovane Tina. L’intervento di uno psicanalista
chiarisce allo spettatore l’impossibilità di raggiungere la verità e racconta
un’altra, possibile, versione dei fatti, più ingenua e pudica.
Per il maestro del
terrore, un’infelice divagazione nel genere della commedia pop, prodotta nel
1969 ma distribuita al grande pubblico solo sette anni dopo [i]
(per altri dopo quattro [ii])
a causa dei problemi provocati dalla censura [iii].
Da un punto di vista narrativo Quante volte… quella notte ricalca lo
schema del nipponico Rashômon (1950) di Akira Kurosawa, tralasciando
però tutta una serie di riflessioni fatte dal regista giapponese (sulla morte,
l’amore, la gelosia, la passione, la probabile redenzione) per esaltare solo
gli aspetti visionari di una narrazione che si frantuma di fronte alla
concretezza dei fatti. Girato senza rinunciare al suo stile, adoperando cioè
grandangoli e inquadrature plastiche tipiche del cinema horror o thriller, il
regista costruisce la storia attraverso un maggiore utilizzo dello zoom,
soprattutto in sede di montaggio. Non mancano le concrete intuizioni visive del
regista, come lo sguardo di Tina attraverso il vetro rosso, la soggettiva dei
personaggi quando si dondolano sull’altalena (per altro già realizzata in Operazione
paura (1966)) o la mano dello psicologo che raccoglie l’auto mentre si
allontana in campo lunghissimo. Scarso successo di pubblico quando uscì in
sala, Quante volte… quella notte rimane in ogni caso un’ottima prova
visiva del regista. Tra i crediti di testa compaiono il figlio Lamberto come
aiuto regia, mentre le divertenti musiche sono composte da Lallo Gori e le
colorate scenografie da Andrea Crisanti. Davvero divertente lo scambio
d’opinioni tra il portinaio ed il lattaio sull’omosessualità. Nella versione
che ho avuto la fortuna di visionare, il titolo cambia nei pannelli che
determinano il passaggio tra il primo ed il secondo tempo, scritto come Quattro
volte… quella notte.
Bucci Mario
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