La
maschera del demonio. Mario Bava. 1960. ITALIA.
Attori: Barbara Steele, John
Richardson, Ivo Garrani, Andrea Checchi, Arturo Dominici, Clara Bindi
Durata: 85’
Moldavia. XVII secolo.
L’Inquisizione dà la caccia ad alcuni vampiri dei quali è accusata di far parte
anche la principessa Asa, della stirpe dei principi Wajda. La pratica vuole che
questa sia prima marchiata a fuoco con il simbolo di Satana e poi che le venga
coperto il volto con la maschera del demonio, un oggetto pieno di chiodi che si
applica al volto dei condannati. La strega muore maledicendo la stirpe. Due
secoli dopo, una coppia di medici diretta a Mosca passa per il bosco dove la
strega è stata seppellita. Un incidente alla carrozza li blocca sulla strada ed
i due medici ne approfittano per visitare la cappella dove quella si trova. Il
dottor Choma Kruvajan, aggredito da un pipistrello, nel tentativo di ucciderlo
infrange il vetro della lapide e, raccogliendo un’icona che riporta l’immagine
della donna, si taglia. Il sangue cola sul volto della strega e la fa tornare
in vita. Poco fuori dalla vecchia chiesa incontrano Katia, la figlia
dell’attuale principe della stirpe Wajda, copia perfetta della strega uccisa
dall’Inquisizione. Il medico, assieme all’assistente Gorobec, sosta in paese la
notte. Nel castello dei Wajda intanto, alcuni episodi suggestionano sia Katia
che suo padre circa la presenza di un’incombente maledizione sulla loro
famiglia. Quella stessa notte la strega Asa riesce a riportare in vita l’uomo
condannato assieme a lei due secoli prima. La sua apparizione sconvolge il
padre di Katia tanto da chiedere l’intervento del dottor Kruvajan. A prenderlo
dal paese però non è il cocchiere di corte ma l’uomo della strega che,
conducendolo sulla tomba di Asa, lo rende schiavo di questa. Il medico si
presenta così a corte e, dopo aver visitato il padre di Katia ed aver chiesto
di togliere il crocifisso per evitare altre suggestioni, trascorre la notte
ospite del castello. La mattina dopo è rinvenuto il corpo sfigurato del padre
di Katia ed il cadavere del cocchiere in riva al fiume. E’ chiamato in causa
anche Gorobec il quale, dopo aver ritrovato Kruvaian che era sparito, nota lo
strano atteggiamento del medico. Si rivolge allora ad un prete, facendogli
decifrare l’icona trovata nella tomba, mentre a corte continuano le morti
sospette. Grazie al prete scopre della maledizione e delle intenzioni della
strega di voler tornare in vita attraverso il sangue della principessa Katia.
L’unico modo di uccidere quelli posseduti dalla strega è di schiacciare loro il
bulbo oculare sinistro. Scoperto un passaggio segreto a corte, che dà accesso
alla cappella dove è seppellita la strega, Gorobec riesce a spingere le masse
popolari, atterrite per quanto stava accadendo, a dare la caccia alla vera
strega. Messa ancora una volta a fuoco, la maledizione termina.
Esordio alla regia per il
direttore della fotografia Mario Bava e consacrazione immediata nel genere
horror. Prendendo spunto dal racconto ucraino Il Vij di Nikolaj Gogol,
il regista firma un cult internazionale che, grazie alle sue ottime idee,
permette anche all’attrice Barbara Steele di guadagnare il posto di regina del
genere nel panorama cinematografico internazionale. È proprio la figura della
strega, infatti, vampiressa che torna per compiere la sua vendetta, l’oggetto
principale di questo racconto. In una società che si esprime attraverso il
fratricidio, la maledizione di una donna condannata a morte da suo fratello. Il
ripudio della fratellanza, dei vincoli di sangue, si trasforma in sangue avvelenato
che torna a pulsare dopo due secoli. Questo incubo di Bava, surreale fino al
punto d’inserire un’impiccagione in un’epidemia di vampiri, mette insieme
Inquisizione e vampirismo, con un accenno latente alla figura dei non morti
(zombi). “Il suo delirante, espressivo stile visivo eleva il genere horror a
un livello più alto” (Martin Scorsese) [i].
Geniale la soggettiva della strega alla quale viene applicata la maschera di
ferro, lo spettatore punto in viso. La maschera del demonio può essere
accostato ad un lavoro immediatamente successivo, di produzione americana e sul
qual mercato il film di Bava aveva vinto: La città dei mostri (1963) di
Roger Corman, pellicola che inizia con l’esecuzione di un rogo e termina sullo
stesso episodio. Non è però questo il solo punto in comune fra i due lavori,
quanto lo stile adottato da entrambi i registi nell’elaborazione delle
immagini, il tema del quadro come alter ego e quello della vendetta. A riguardo
c’è da dire che però Bava spinge molto di più sugli effetti speciali (bulbi
oculari che si riformano, resurrezioni dall’oltretomba, ustioni) e il risultato
ottenuto è superiore ed antecedente. Ne
è stata fatta un’edizione per la televisione dal figlio del regista, La
maschera del demonio (1990) di Lamberto Bava.
Bucci Mario
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