M
- Il mostro di Düsseldorf. Fritz Lang. 1931. GERMANIA.
Attori: Peter Lorre, Otto
Wernicke, Gustav Gründgens, Theo Lingen
Durata: 117’
Titolo
originale: M.
Un pericoloso pedofilo ed assassino terrorizza la città di
Dusseldorf. Sono già otto le piccole vittime e la polizia brancola nel buio da
altrettanti mesi. La piccola Elsie Beckmann si lascia avvicinare da un signore
in cappotto che le compra un palloncino da un cieco venditore ambulante. La
voce della madre la chiama inutilmente dalla finestra di casa: Elsie è la nuova
vittima del mostro. Sull’assassino incombe una taglia di 10.000 marchi e mentre
in città si diffonde la cultura del sospetto, lo stesso mostro scrive alla
stampa. La lettera è analizzata dalla polizia senza però indizi effettivi e riscontrabili.
Le continue retate dell’autorità, soprattutto negli ambienti della malavita,
rendono più nervosa una situazione che man mano si fa insostenibile. I capi
delle Organizzazioni Unite, una sorta di grande assemblea della truffa,
s’incontrano per cercare una soluzione mentre nello stesso tempo si tiene
un’altra riunione, quella delle Autorità. Queste ultime decidono di aumentare i
controlli mentre le Organizzazioni unite scelgono invece di assoldare tutti i
mendicanti della città per controllare ogni angolo di strada. Spulciando la
lista delle persone rilasciate dopo una cura psichiatrica, la polizia giunge a
casa di Franz Becker, un indiziato assente in quel momento nel suo
appartamento. L’ufficiale si preoccupa di raccogliere ugualmente più indizi possibili.
In strada intanto, il mostro prova a seguire una bambina sola, ma rinuncia
quando questa raggiunge la madre. Il cieco venditore di palloncini invece,
riconosce il suo modo di fischiettare e lo fa seguire da un vagabondo che, per
non perderlo di vista, gli segna il cappotto con una M. Per una scatola di
sigarette Ariston ritrovata nel suo appartamento, la polizia si convince di
aver trovato l’uomo giusto ma nel frattempo il mostro è in strada, pedinato dai
vagabondi della città. accortosi di essere seguito, il mostro fugge e si
nasconde in un grande palazzo di uffici e vi rimane anche dopo l’orario di
chiusura. L’Organizzazione decide allora di entrare nel palazzo e di aprire con
ogni metodo qualsiasi porta, pur di acciuffarlo. E’ finalmente scoperto in
soffitta, mentre tentava di farsi una chiave per aprire una serratura. Il
guardiano del palazzo riesce ugualmente a chiamare la polizia la quale, pur
sopraggiungendo tardi, riesce comunque ad arrestare uno dell’Organizzazione. Il
commissario Lohmann, incaricato della caccia al mostro, riesce a farsi dire il
motivo di quel grosso ingresso nel palazzo e scopre così che l’Organizzazione
ha trovato il mostro e che lo tiene nascosto in una vecchia distilleria
abbandonata, dove il popolo della strada lo sta giudicando e condannando a
morte. Questa volta, l’arrivo tempestivo della polizia riuscirà a consegnare il
mostro ad un tribunale ordinario.
Prima pellicola sonora per Fritz Lang che coglie, nel
passaggio dal muto, le principali regole del nuovo cinema sonorizzato
(montaggio delle immagini sulle voci fuori campo, suoni contestuali agli
ambienti). Girato sfruttando ancora il bianco e nero di taglio realistico, la
pellicola di Lang si avvale di inquadrature più plastiche (il compasso sulla
cartina che segna il campo d’azione delle indagini) che però sentono ancora
dell’esperienza espressionistica del regista, soprattutto nel dar vita al
personaggio del mostro (in particolar modo durante la confessione finale).
Lungo falso piano sequenza, una delle cose più interessanti, nella mensa dei
mendicanti, con pausa sulla lavagna dove viene riscritto il menù, e che termina
invece al piano superiore, dove i mendicanti sono assoldati dalle
Organizzazioni Unite. Con M. Lang s’interroga sui due lati della
giustizia, quella ordinaria e quella privata, che spesso non coincidono fino ad
ostacolarsi, e sul rapporto tra l’umana tendenza al crimine e la disumana
tendenza invece all’ordine (rappresentata dallo stesso tribunale di
malviventi). Ironicamente però il mondo della malavita appare molto più
rassicurante ed efficiente di quello rappresentato dalla legge. Becker è un
mostro come potrebbe esserlo chiunque, caratterizzato da una normalità
agghiacciante e che si mostra incontrollabile al richiamo dell’omicidio (“Non
è colpa mia!” grida disperato alla fine, di fronte al tribunale). Quella di
M. però, non è solo la storia di un’anormalità mostruosa, ma è
soprattutto quella di una società che si sente normale (qualsiasi cosa essa
faccia) e che per questo cerca di difendere la propria condizione, estirpando
il male che M. rappresenta. Vivo e partecipato il lavoro di Peter Lorre,
primo serial killer della storia del cinema affetto da sindromi patologiche
sessuali, oscillante tra suasiva aggressività e isterica debolezza [1].
Se esiste un’immagine indimenticabile nella lunga filmografia di questo
regista, è proprio il volto, la faccia gommosa di questo attore,
raccolta nel riverbero dei coltelli esposti nella vetrina, e che vive a poco a
poco i tratti di una tormentosa ossessione, di un istinto omicida
dolorosamente impossibile da controllare [2].
Ispirato ad un fatto di cronaca, all’assassino Peter Kurten, conosciuto dal
pubblico anche come il vampiro di Dusseldorf, il film è stato scritto
dal regista assieme alla collaborazione della moglie Thea von Harbou, e
fotografato da F.A. Wagner. Il tema dell'assassino è tratto dal Peer
Gynt di E. Grieg ed è fischiettato da F. Lang, perché Peter Lorre non
sapeva farlo. L’idea del tribunale dei criminali deve qualcosa al Brecht di
“L'opera da tre soldi” [3].
Originariamente il film doveva chiamarsi “Gli assassini sono tra noi” o “Una
città cerca un assassino” [4].
L’opera di Lang rimane comunque una metafora antinazista scopertissima [5].
Ne è stato fatto un remake nel 1951, diretto da Joseph Losey, ed ambientato a
Los Angeles.
Mario Bucci
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