Ladri
di biciclette. Vittorio De Sica. 1948. ITALIA.
Attori: Lamberto Maggiorani,
Enzo Staiola, Lianella Carell, Vittorio Antonucci, Elena Altieri, Ida Bracci
Dorati
Durata: 92’
Roma. Immediato dopoguerra.
Antonio Ricci è a far la fila davanti all’ufficio di collocamento. Ottiene il
lavoro di attacchino municipale ma è necessario che sia munito di una
bicicletta, che invece Antonio si è impegnato. A casa, ne parla con la moglie
Maria la quale s’impegna sei coperte per settemila e cinquecento lire e ricompra
la bicicletta al marito. Di ritorno dal palazzo del pegno, Maria chiede di
passare dalla santona, che aveva predetto che il marito avrebbe trovato lavoro,
per farle un’offerta, ma Antonio riesce a convincerla a risparmiare. Il primo
giorno di lavoro, un ladro e due compari gli rubano la bicicletta mentre è
impegnato ad affiggere. Scoraggiato, Antonio fa denuncia alla polizia la quale
dice che può fare ben poco. Decide allora di rivolgersi a Baiocco, un suo amico
che lavora come netturbino. La mattina dopo, accompagnato dal piccolo figlio
Bruno, Antonio incontra Baiocco al mercato di P.za Vittorio dove si vendono
biciclette e pezzi di ricambio. Incomincia a piovere e devono correre al
riparo. Smesso di piovere vedono il ladro che parla con un barbone e tentando
invano di seguirlo, lo perdono tra la folla. Decidono allora di seguire il
barbone che si rifugia in una chiesa che si occupa dei senzatetto e dei più
poveri. Qui, messo di fronte ad una probabile denuncia alla polizia, il barbone
prima tergiversa e poi riesce a scappare. Ormai nervoso, Antonio se la prende
con il piccolo Bruno. Lascia il bambino vicino ad un ponte e va alla ricerca
del barbone lungo il fiume. Quando sente della gente gridare, torna indietro
pensando che sia successo qualcosa a suo figlio che in realtà è ancora al ponte
ad aspettarlo. I due fanno pace e vanno in un’osteria a pranzare. Non riescono
a rassegnarsi e si rivolgono allora alla santona la quale non lo solleva da
quella condizione. Appena fuori dall’appartamento, Antonio e Bruno riconoscono
il ladro e lo inseguono nel quartiere popolare dove la gente fa quadrato con il
ragazzo che finge un attacco epilettico. Bruno chiama un carabiniere che alla
fine, per mancanza di prove, convince Antonio a non esporre denuncia. Padre e
figlio se ne vanno tra gli insulti della gente. Passando dallo stadio, dove si
sta giocando la partita Roma-Modena, Antonio vede una bicicletta lasciata
incustodita ed appoggiata ad una porta. Dice a Bruno di prendere la corriera e
di aspettarlo da un’altra parte, poi prova a rubare la bici. Scoperto dal
proprietario, è bloccato dalla folla la quale lo vuole consegnare alla polizia.
Sopraggiunge Bruno, che non ha fatto a tempo a salire sulla corriera, e il
proprietario decide di non esporre denuncia. Padre e figlio, lacrime agli
occhi, tornano verso casa mischiandosi tra la folla.
Toccante, assoluto capolavoro del
cinema italiano. De Sica, dopo il notevole Sciuscià (1946), torna a
parlare dell’Italia del dopoguerra con sguardo lungimirante e critico, triste e
profetico. Mentre sui muri di Roma sono affissi i cartelloni di Rita Hayworth,
la gente di Roma, per le strade, diventa ladri di biciclette. Scritto
dallo stesso regista assieme al grande Zavattini, che contribuì con il
pedinamento dei personaggi, dietro le quali tracce si scopre una realtà che si
costruisce proprio grazie al loro rapporto con il quotidiano, il film è uno dei
più alti esempi di neorealismo cinematografico. Denso di poesia (Antonio e
Bruno, nel finale, padre e figlio, mano nella mano, uniti nell’umiliazione),
senso dell’immagine (il passaggio delle lenzuola appena impegnate nella sala
delle biciclette, da disimpegnare; la finestra che viene chiusa alle spalle di
Antonio e del carabiniere) e della rappresentazione critica (contro la Chiesa,
nella gestione indifferente della povertà; contro l’autorità impotente - “Ma
allora che la faccio a fà ‘sta denuncia?”). Quella di De Sica non è solo
una pellicola che scava nella triste quotidianità della capitale, ma è, e (fu)
soprattutto, un consiglio all’Italia di quell’epoca, fatto passare attraverso
le battute della santona in risposta ad Antonio che le chiede una mano “O la
trovi subito, o non la trovi proprio più”. Per un attimo, l’illusione di
una speranza negli occhi di Antonio, a tavola nell’osteria: “A tutto c’è
rimedio, tranne che alla morte”. Lo dice al figlio, lo dice sorridendo, lo
dice a bassa voce, lo dice mangiando…. ma c’è veramente rimedio a tutto? Forse
una delle più belle interpretazioni mai viste sullo schermo, quella di Lamberto
Maggiorani (attore non professionista la cui parte la parte era stata
offerta a Cary Grant – Il Morandini – Dizionario dei film 2003),
accompagnato dal bravo Enzo Staiola (il figlio Bruno). Fare onore però solo ai
due protagonisti sarebbe ingiusto nei confronti di tutti gli altri (tra i quali
c’è il cammeo del futuro regista di western Sergio Leone, nei panni di
un seminarista straniero che si ripara dalla pioggia): come dimenticare,
infatti, la fame di lavoro negli occhi di Maria, il barbone, Baiocco, l’uomo
(pedofilo?) che avvicina Bruno al mercato delle bici? Importantissimo il grande
apporto delle composizioni musicali di Alessandro Cicognini. Tratto
dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini (che promosse un’azione giudiziaria
contro il regista perché non ne riconobbe la fedeltà – Di Giammatteo –
Dizionario del cinema italiano – Editori Riuniti), dopo l’Oscar guadagnato
per Sciuscià (1946), ancora un riconoscimento per Vittorio De Sica con
l’Oscar speciale nel 1949, che si guadagnò anche sei Nastri d'argento ed altri
premi (Locarno, New York, Londra, Knokke-le-Zonte, Bruxelles, ecc.). Andrè
Bazin lo definì il centro ideale attorno al quale orbitano le opere degli altri
grandi registi del neorealismo, fatto di equilibrio tra sguardo realistico e
sentimentalismo populistico (Di Giammatteo – Dizionario del cinema italiano –
Editori Riuniti).
Bucci Mario
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