Duello
al sole. King
Vidor. 1946. U.S.A.
Attori: Jennifer Jones, Gregory Peck, Joseph
Cotten, Lionel Barrymore, Lillian Gish, Herbert Marshall, Walter Huston
Durata: 130'
Titolo originale: Duel in the sun
Nuovo stato del Texas. 1880. La
meticcia Perla, nata da un bianco e da una ballerina indiana, si trasferisce
nel ranch del senatore McCanles dopo l’impiccagione del padre, reo di aver
ucciso la moglie e l’amante. Ad ospitarla è principalmente Clarabella, una
vecchia fiamma del padre alla quale era molto legato prima che Perla nascesse,
moglie del senatore, bloccato su una sedia a rotelle e padre di due figli.
Jess, il più grande, laureato in legge, prende a cuore l’idea di far grande il
suo paese e si mette contro il padre per far passare la ferrovia anche sulla
loro terra, per questo motivo è allontanato dal ranch. Lewt, l’altro fratello
che invece non ha mai continuato gli studi, è un burbero che con le maniere
forti cerca di sottomettere Perla alle sue voglie. Scoperto il prossimo
matrimonio di Perla con lo stalliere Sam, Lewt lo uccide in un saloon ed è
costretto a vivere da ricercato. Quando Clarabella muore, e Perla si trova a
vivere in casa da sola con il senatore e tutti i suoi dipendenti (i due figli
sono ormai costretti a stare alla larga dal ranch), Jess ritorna per portarla
via con sé, ma Lewt spara anche a lui, senza però ucciderlo. Perla accetta di
andare all’appuntamento che Lewt le ha dato prima di passare il confine dello
stato, e fra le rocce del deserto, i due prima si sparano a vicenda e poi
finiscono per morire abbracciati sotto i caldi raggi di un sole accecante.
Il regista ha definito il suo
film come un superwetern, per il numero degli attori celebri che vi
compaiono, per l’Amore e Odio che vi si dispiegano e per la visione epica che
ogni sequenza trasfigura sino a renderla fantastica (Di Giammatteo –
Dizionario del cinema americano). In realtà il lavoro non può essere definito
solo da quest’interpretazione perché, se è vero che attraverso la sua mano
risaltano di più i toni melodrammatici e quel senso d’americanismo forte
soprattutto nelle sue pellicole (il senatore, contrario alla ferrovia, quando
vede arrivare l’esercito nazionale dice “Ho combattuto per quella bandiera e
non gli sparerò contro”) è anche vero che il film è stato girato da diversi
registi: dei 14 mila piedi di pellicola impressionata, 6280 sono appunto di
Vidor, ma 3526 appartengono a Dieterle, 2939 a Otto Brewer e 473 a Josef von
Sternberg. In realtà, il lavoro si può considerare quindi di nessuno di loro ma
di O. Selznick, sceneggiatore e soprattutto produttore, che dopo il successo di
Via col vento (1939) di Fleming cercò di bissare l’evento producendo un
nuovo colossal. Pompato in technicolor e sorretto dal lavoro fotografico di ben
tre direttori (Lee Garmes, Harold Rosson e Ray Rennahan) il film coglie pochi
momenti veramente coinvolgenti e ne dipinge tanti altri d’inconsistenza
necessaria solo a definire il carattere epico e di maniera (tramonti infuocati
e praterie senza apparenti confini). Belle e caotiche sono solo le riprese con
le quali si apre il film, quelle che vedono la madre di Perla ballare in un
affollatissimo locale e che non sono state girate da Vidor, bensì da William
Dieterle. Il personaggio di Perla, interpretato da Jennifer Jones, è fortemente
erotizzato dalla scollatura dei suoi abiti e dalle sue movenze feline, così
come è di forte trasgressione erotica (considerando l’anno in cui il film fu
proiettato in sala) il ballo esotico della madre di Perla (la bellissima Tilly
Losch). Interessante, infine, è anche la sequenza della locomotiva che deraglia
dopo l’attentato di Gregory Peck: in pochissimi fotogrammi si vede il muso del
progresso sbattere sull’obiettivo, rompendolo. Joseph Cotten è Jess, il
fratello più colto mentre Gregory Peck interpreta Lewt, il duro cowboy, ma gli
attori più bravi sono Lionel Barrymore (il senatore sulla sedia a rotelle),
Walter Huston (un predicatore d’altri tempi) e Lillian Gish (Clarabella).
Ritenuto dalla critica come un film del quale parlare, mi sembra invece un pomposo
melodramma del quale basta dire di averlo visto, senza ulteriori commenti,
vista anche la presenza di sottili intenzioni razziste cucite sui dialoghi dei
personaggi (la governante di colore non riesce mai a finire una frase, ed anche
alla festa, quando una lunga carrellata sembra poterle dare voce, la macchina
da presa si allontana dalle sue parole per salire al secondo piano del ranch).
Tratta da un romanzo di Niven Busch, la sceneggiatura è firmata da Selznick e
Oliver P.H. Garrett. La voce fuori campo, che accompagna le immagini del
deserto fino al primo piano sul fiore di cactus, appartiene ad Orson Welles.
Bucci Mario
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