Elephant. Gus Van Sant. 2003. USA.
Attori: Alex Frost, Eric
Deulen, John Robinson, Elias McConnel.
Durata: 78’
Portland. Oregon. USA. In una scuola
superiore si alternano i momenti quotidiani, ordinari, di un gruppo di ragazzi.
Un fotografo, un ragazzino stiloso, la bruttina della scuola, una coppia di
fidanzati, un terzetto di bellocce, il bullo di colore, ma soprattutto una
coppia folle, due amici, che un giorno si presenta carica di armi come se
stesse andando in guerra, e semina il panico nell’istituto abbattendo i
compagni.
Premio per il miglior film e per
la migliore regia a Cannes, il nuovo lavoro di Gus Van Sant segna una svolta
fondamentale nella carriera del regista. In realtà il cambiamento era stato
anticipato dal suo precedente Gerry (inedito in Italia) ma con questa
pellicola diventa dichiarato, essenziale, vitale. Abbandonando il cinema
grottesco d’inizio carriera, provocatorio, ridondante di personaggi e dialoghi
estremi, oltrepassando il modello istituzionalizzato delle ultime pellicole, il
regista adotta lunghissimi piani sequenza che pedinano i protagonisti,
costruendo una storia che all’apparenza si basa su un’unica giornata e che
invece è fatta d’immagini che in quella confluiscono, fino al folle gesto dei
due ragazzi. Ispirato alla tragedia della Colombine, sulla quale era uscito
precedentemente il bel documentario Bowling a Colombine (2002) di
Micheal Moore, il film di Van Sant si caratterizza anche per la scelta del low
budget e del work in progress, una sceneggiatura aperta sulla quale
spesso sono intervenuti gli attori stessi, tutti non professionisti (la scelta
della canzone Per Elisa, per fare un esempio, è stata fatta perché Alex
Frost era in grado di suonarla nella scena girata nel suo appartamento). Il
nuovo linguaggio visivo al quale il regista sembra affidarsi prende spunto un
po’ anche dai giochi violenti degli ultimi anni nei quali il soggetto attivo
rimane sempre al centro dell’inquadratura (c’è, infatti, un’immagine nella
quale Eric, che si rifà all’iconografia del rapper americano Eminem,
gioca con il computer ad uccidere i passanti). Dialoghi magri, essenziali,
rappresentano la solitudine odierna della maggior parte dei giovani americani.
Infine, l’ultima parte della pellicola, quella in cui i due danno via alla strage,
rimane è sicuramente una delle più forti degli ultimi anni, girata con una
freddezza silenziosa, terrificante, ordinaria. Il titolo è lo stesso di un film
per la Bbc girato nel 1989 da Alan Clark sugli scontri politici in Irlanda del
Nord, ed è una metafora per indicare un problema che spesso si evita di vedere,
come un elefante in una stanza. Filosofico, riflessivo, metafisico, quando a
metà pellicola il cielo sembra coprirsi in maniera quasi infernale, muta anche
la quotidianità dei gesti, ed il destino sembra andare in direzione di ognuno.
Davvero un capolavoro.
Bucci Mario
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