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Elephant
Anno: 2003
Regista: Gus Van Sant;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Elephant. Gus Van Sant. 2003. USA.

Attori: Alex Frost, Eric Deulen, John Robinson, Elias McConnel.

Durata: 78’

 

 

Portland. Oregon. USA. In una scuola superiore si alternano i momenti quotidiani, ordinari, di un gruppo di ragazzi. Un fotografo, un ragazzino stiloso, la bruttina della scuola, una coppia di fidanzati, un terzetto di bellocce, il bullo di colore, ma soprattutto una coppia folle, due amici, che un giorno si presenta carica di armi come se stesse andando in guerra, e semina il panico nell’istituto abbattendo i compagni.

Premio per il miglior film e per la migliore regia a Cannes, il nuovo lavoro di Gus Van Sant segna una svolta fondamentale nella carriera del regista. In realtà il cambiamento era stato anticipato dal suo precedente Gerry (inedito in Italia) ma con questa pellicola diventa dichiarato, essenziale, vitale. Abbandonando il cinema grottesco d’inizio carriera, provocatorio, ridondante di personaggi e dialoghi estremi, oltrepassando il modello istituzionalizzato delle ultime pellicole, il regista adotta lunghissimi piani sequenza che pedinano i protagonisti, costruendo una storia che all’apparenza si basa su un’unica giornata e che invece è fatta d’immagini che in quella confluiscono, fino al folle gesto dei due ragazzi. Ispirato alla tragedia della Colombine, sulla quale era uscito precedentemente il bel documentario Bowling a Colombine (2002) di Micheal Moore, il film di Van Sant si caratterizza anche per la scelta del low budget e del work in progress, una sceneggiatura aperta sulla quale spesso sono intervenuti gli attori stessi, tutti non professionisti (la scelta della canzone Per Elisa, per fare un esempio, è stata fatta perché Alex Frost era in grado di suonarla nella scena girata nel suo appartamento). Il nuovo linguaggio visivo al quale il regista sembra affidarsi prende spunto un po’ anche dai giochi violenti degli ultimi anni nei quali il soggetto attivo rimane sempre al centro dell’inquadratura (c’è, infatti, un’immagine nella quale Eric, che si rifà all’iconografia del rapper americano Eminem, gioca con il computer ad uccidere i passanti). Dialoghi magri, essenziali, rappresentano la solitudine odierna della maggior parte dei giovani americani. Infine, l’ultima parte della pellicola, quella in cui i due danno via alla strage, rimane è sicuramente una delle più forti degli ultimi anni, girata con una freddezza silenziosa, terrificante, ordinaria. Il titolo è lo stesso di un film per la Bbc girato nel 1989 da Alan Clark sugli scontri politici in Irlanda del Nord, ed è una metafora per indicare un problema che spesso si evita di vedere, come un elefante in una stanza. Filosofico, riflessivo, metafisico, quando a metà pellicola il cielo sembra coprirsi in maniera quasi infernale, muta anche la quotidianità dei gesti, ed il destino sembra andare in direzione di ognuno. Davvero un capolavoro.  

          

 

Bucci Mario

        [email protected]