Un
uomo da marciapiede. John Schlesinger. 1969. USA.
Attori: Jon
Voight, Dustin Hoffman, Brenda Vaccaro, Sylvia Miles, John McGiver, Bob Balaban
Durata: 113’
Titolo
originale: Midnight
cowboy
Texas. Joe Buck è un cowboy
convinto di poter tirare a campare soddisfando i desideri delle donne. Decide
allora di lasciare il suo paese, nel quale viveva con la nonna, e di andare a
New York, dove le donne sembrano più propense a simili avventure. Illuso di
avercela già fatta dopo aver abbordato una ricca donna, si ritrova invece a
tirare a campare in compagnia di un homeless di origine italiana, Ratso Rizzo,
claudicante e malato. La realtà del sobborgo ha la meglio su di lui, costretto
a rapporti omosessuali nei cinema, a rubare ed a inventarsi altro su come sopravvivere.
Durante una particolare festa, alla quale sono invitati lui e Rizzo come
rappresentanti del mondo sotterraneo ed alternativo di N.Y., riesce finalmente
ad ingranare con il lavoro che aveva in mente, ma Rizzo, malato e
febbricitante, gli chiede di essere accompagnato a Miami, ultima meta della sua
vita. Durante il viaggio Joe decide che sarebbe meglio tornare a fare un lavoro
normale ma nel frattempo Rizzo gli muore fra le braccia.
Riuscito film di Schlesinger,
regista inglese alla sua prima esperienza negli Stati Uniti, coraggioso nel
proporre in termini di realismo patetico la crisi del sogno americano (N.Y.
come Miami mete che non cambiano il destino dei due uomini). Amara e
lucidissima descrizione dei sobborghi delle metropoli e allucinato viaggio di
un’esistenza che spesso confonde realtà con l’immaginazione di questa
(sovrapposizioni di immagini nei pensieri di John Voight), il film inizia su
una tela bianca di uno schermo da drive in e termina con l’abbraccio di
Joe a Rizzo, mentre questo è morto. Realtà di una provincia che si riflette su
uno schermo bianco ed abbraccia un sogno che si spegne. Quella di Midnight
cowboy è anche la storia di un’amicizia nata per necessità, continuata per
convenienza e terminata nel sentimento puro, in coincidenza della morte. Molto
importante l’uso delle immagini e la loro forza di metafora, il montaggio
serrato di fotografie del passato, necessarie alla descrizione del personaggio
di Joe, sognatore, sincero e sempre più illuso. Disseminati lungo tutta la pellicola
riferimenti critici alla religione battista del sud dell’America, trauma di un
uomo che fugge da se stesso e che si affida ciecamente al prossimo. Solo un
accenno alla guerra in Vietnam, la voce di un radiogiornale che si spegne dopo
pochi secondi: la realtà più prossima oscura un problema più grande, e lo
rappresenta nel suo piccolo. Tratto dall’omonimo romanzo di James Leo Herlihy,
ottenne ben sei nominations ma solo tre oscar, per il miglior film, la
miglior regia e la migliore sceneggiatura (di Waldo Salt). Senza dubbio Dustin
Hoffam avrebbe meritato anch’egli la statuetta. Gran successo ebbe invece anche
la canzone Everybody's Talkin', composta da Fred Neil e cantata da Henry
Nilsson. Molti cammei nella scena della festa alternativa, che rimanda senza
dubbio agli ambienti underground newyorkesi tipici della Factory di Andy
Warhol: Viva, Ultra Violet, Taylor Mead e soprattutto Paul Morrisey ne sono
l’emblema.
Bucci Mario
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