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Rashômon
Anno: 1950
Regista: Akira Kurosawa;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Rashômon. Akira Kurosawa. 1950. GIAPPONE.

Attori: Toshiro Mifune, Masayuki Mori, Machiko Kyo, Takashi Shimura

Durata: 88’

 

 

Kyoto. XV secolo. Piove. Sotto il portico del tempio del dio Rasho, tre uomini, un sacerdote, un falegname ed un servo, discutono su un fatto appena successo, qualcosa che è peggio della guerra, dei banditi e della morte, perché è qualcosa che uccide la fiducia negli uomini. Il taglialegna è il primo a raccontare quanto accaduto, di aver trovato cioè il corpo di un samurai ucciso. Al comando di polizia si presenta anche un poliziotto che ha arrestato un brigante, accusato di aver commesso l’omicidio. Egli stesso racconta quanto accaduto, assumendosi la responsabilità dell’atto. Nella foresta, egli s’era invaghito della moglie del samurai e con un pretesto era riuscito a dividere la coppia ed a legare il samurai ad un tronco d’albero. Aveva approfittato di lei e quella, dopo aver ceduto, aveva assicurato ad entrambi gli uomini che avrebbe seguito quello che sarebbe rimasto vivo. Sfidatisi a duello, il brigante aveva avuto la meglio. I tre uomini al riparo dalla pioggia sembrano però non convinti di quanto accaduto anche perché il prete, presente alle confessioni al posto di polizia, aveva assistito alla ricostruzione dell’omicidio fatta dalla donna. Ella era stata violentata dal brigante ma poi, offesa dallo sguardo del marito samurai, pieno di disprezzo, aveva deciso di ucciderlo perché non riusciva a sopportarlo. Il morto stesso per giunta, aveva lasciato una confessione al posto di polizia, tramite la voce di una medium. Durante la confessione egli ammetteva di essersi suicidato per dolore. I tre uomini sotto il portico del tempio sembrano sempre meno convinti e soprattutto è poco convinto il falegname il quale ammette di aver raccontato il falso al posto di polizia perché non voleva essere messo in mezzo. In realtà, poiché rifiutata da entrambi dopo aver ceduto alla violenza del brigante, la donna li aveva costretti al duello per mostrare il loro onore ed infine il brigante aveva vinto. I tre uomini continuano però a dubitare della veridicità dei racconti. Sentono piangere un bambino e scoprono un neonato abbandonato al quale il ladro sottrae immediatamente la dote. Il falegname lo accusa di non avere un cuore ma quello se ne va affermando che egli è invece convinto che sia stato proprio il falegname ad uccidere il samurai. Smette di piovere ed il falegname decide di prendere in consegna il pargolo abbandonato.

Tratto da due racconti di Ryumosuke Akutagawa, Rashômon è una profonda riflessione sulla natura umana, un’incursione psicanalitica negli stati d’animo del cuore, e punto di riflessione per il mondo intero. La dodicesima pellicola ufficiale del regista giapponese è un capolavoro di sceneggiatura, testi e sottotesti, inquadrature (memorabili i carrelli nella foresta) e montaggio, al quale si deve una lucida tensione narrativa (Lorenzo Vitalone su Cinema di tutto il mondo a cura di Alfonzo Canziani). Una poetica surreale e suggestiva su una tragedia consumata senza che mai si possa davvero guardare la morte in faccia (manca sempre la figura del samurai ucciso, tranne che nella sua confessione, del quale mostra il suicidio, e che forse è dunque l’unica dichiarazione veramente falsa) La pellicola incomincia con una menzogna e finisce (sempre per bocca del falegname) con un atto di responsabilità. Intelligente, l’impostazione teatrale del racconto si consuma in tre differenti scenografie: il porticato del tempio, la foresta ed il comando di polizia, ai quali luoghi corrispondono i commenti, il fatto, e le confessioni, vere e proprie ammissioni di colpa di fronte a domande non poste. Ai tre luoghi che definiscono lo spazio narrativo della pellicola, corrispondono anche tre differenti arie narrative, fatte di una pioggia intensa e costante, di un sole raggiante, e di un campo asettico. Sebbene, infine, i tre protagonisti della tragedia si assumano tutti la responsabilità della morte del samurai, tutti ne scaricano la causa sugli altri, in questa profonda parabola sulla relatività della verità (il Mereghetti – Dizionario dei film 2000). Due le sequenze più suggestive, la confessione della donna, il suo isterico domandare basta! allo sguardo disprezzante del marito samurai, e la confessione stessa del marito, tramite la medium. Impressionate. Non mancano i riferimenti fallici alle armi e sono ben studiate anche le coreografie dei lunghi duelli tra i due uomini, coinvolti con un grande impegno fisico. Superlativo Toshiro Mifune, tenuto legato nel commissariato come se fosse una bestia feroce, un esemplare raro di perfido rettile.  La vita umana è più effimera della rugiada del primo mattino. L’uomo è un vero mistero per i suoi simili.

Rashômon vinse, a sorpresa, il Leone d'oro a Venezia nel 1951 (i produttori giapponesi fino all’ultimo s’erano mostrati indecisi perché lo consideravano poco esportabile) ed il premio speciale agli Academy Awards dello stesso anno, poiché l'Oscar per il miglior film straniero fu istituito solo nel 1956. Ne è stato fatto un remake dal titolo L'oltraggio (1964) di M. Ritt e con Paul Newman nella parte che fu di Toshiro Mifune.

 

 

Bucci Mario

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