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2001: odissea nello spazio - 2001: a space odyssey
Anno: 1968
Regista: Stanley Kubrick;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Gran Bretagna;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

2001: odissea nello spazio. Stanley Kubrick. 1968. GB.

Attori: Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter

Durata: 143’

Titolo originale: 2001: a space odyssey

 

 

Il buio. L’alba dell’uomo. In un mondo in cui nulla si muove, un gruppo di primati è atterrito dalla scoperta di un monolito nero. Uno di loro, dopo aver compreso il significato degli oggetti, utilizza un osso lungo prima per uccidere un mammifero e poi per primeggiare contro un altro primato. Scaraventata in aria, l’arma si trasforma in un’astronave che nello spazio trasporta il dottor Floyd verso Clavius. Qui, un gruppo di scienziati ha rinvenuto un monolito nero deliberatamente sepolto quattro milioni di anni prima e che continua ad emanare un potentissimo campo magnetico intorno a sé. La Comunità spaziale non è ancora convinta di poter rendere nota la scoperta e copre il mancato collegamento con Clavius mettendo in giro la voce di una pericolosa epidemia d’origine ignota. Raggiunto il luogo in cui è custodito il monolito, il gruppo di scienziati è colto da un disturbante fischio emesso probabilmente dallo stesso oggetto. Missione su Giove, 18 mesi dopo. La nave spaziale Discovery, con a bordo cinque membri umani (di cui tre ancora ibernati) ed un calcolatore di nome HAL 9000, è in rotta verso Giove. Il calcolatore, cervello e sistema nervoso della nave, avverte Frank e David dell’avaria di un radar principale, ma questi, accortisi dell’errore del calcolatore, discutono sull’opportunità di escludere HAL per evitare ulteriori disguidi da parte di questo. Il computer di bordo deciderà di ammutinare la nave, cogliendone il pieno controllo, prima lasciando che Frank sia disperso nello spazio, e poi non facendo tornare David all’interno dell’astronave. Quest’ultimo, con un disperato tentativo, riuscirà a farvi ritorno e completerà l’opera escludendo il computer di bordo. Giove e oltre l’infinito. Proiettato nello spazio, David si ritrova in una stanza bianca e si riconosce, invecchiato, impegnato a pranzare. Lo stesso uomo seduto al tavolo, dopo aver fatto cadere e rotto un bicchiere, si riconoscerà a letto, ancora più invecchiato, mentre indica il monolito nero, di fronte a lui. Un feto umano, osserva lo spazio, e lo raccoglie in se stesso.

Capolavoro filosofico di Kubrick, ispirato a The sentinel di Arthur C. Clarke (che oltre a collaborare alla sceneggiatura con lo stesso Kubrick, riscrisse il romanzo 2001: odissea nello spazio per completare l’interpretazione del regista inglese). Pur sfruttando il genere, non è assolutamente un film di fantascienza, ma un chiaro esempio di come questa sia perfettamente adatta ad affrontare temi universali ed esistenziali (fantascienza della crudeltà, come la definisce Alfonzo Canziani ne Cinema di tutto il mondo). Tutto è detto, niente sfugge a questo capolavoro didattico del cinema, a partire proprio dall’aspetto visivo e visionario (Oscar come migliori effetti speciali a Douglas Trumbull che stravolge ogni regola della gravità) dal quale emerge soprattutto la splendida fotografia di G. Unsworth e J. Alcott e la folle attenzione del regista alle plastiche simmetrie estetiche di un immaginario futuro. La musica e le immagini sono concertate con superlativa nozione del tutto, così come la storia dell’uomo (che spesso si allarga a quella dell’esistenza stessa), che rappresenta a sua volta il viaggio della conoscenza, è ridotto ad un fotogramma che manca tra l’osso lanciato in aria e l’astronave che lenta attraverso lo spazio. Quello di 2001 non è un racconto di qualcosa, ma con molta probabilità è la storia stessa, l’insieme dello spazio e del tempo, una storia composta di storie di se stesse. È la vita degli errori (HAL consiglia di rimettere a posto il pezzo difettato per aspettarne l’avaria ed individuarne la causa; David fa cadere il bicchiere per terra e riflette sull’oggetto rotto prima di vedersi sul letto, nella stanza bianca), ma è anche l’impossibilità della conoscenza (compressa nel rigido simbolismo del monolito), dello spazio e del linguaggio: a quello confuso dei primati si contrappone quello essenziale e corretto del calcolatore, mentre il monolito sembra contenere tutte le forme del linguaggio (il sonoro sfruttato nelle sue inquadrature contiene la radice di quello umano). Il mondo (che è un feto che in sé raccoglie lo spazio) è all’origine dello scibile un insieme di mammiferi che condivide lo spazio stesso, si mostra in una natura che domina se stessa (il primate che è aggredito dal puma; l’immagine di una tigre che controlla il cadavere della sua zebra), si trasforma nel dominio della natura (l’uso dell’osso come arma avviene a seguito di una riflessione del primate sull’oggetto) e poi nel dominio di se stesso (l’osso come arma non più contro il diverso, ma contro il suo simile), e che infine, si lascia dominare da un calcolatore, il prodotto di quanto fatto, e quindi difettato (HAL imita il cervello umano, e quindi come questo è predisposto anche egli all’errore). Il monolito è l’universo stesso (il sole che sorge dietro la sua presenza compie lo stesso movimento anche durante i titoli del film lo vede sorgere dietro un altro pianeta), illuminato come se fosse capace al tempo stesso di cogliere il riflesso della luce in alcuni suoi lati, e di trattenerlo in altri, volgendolo al nero. Il viaggio dell’uomo nello spazio, nel suo spazio (la stanza bianca in cui tre età diverse si guardano senza sapere di guardarsi) è triste come la storia dell’uomo (l’impassibilità di Frank davanti agli auguri per il suo compleanno) ed ha il suono del respiro di se stessi, ciò cui solo l’infinità dello spazio ha la capacità di porre di fronte. Non c’è nessuna forma d’ottimismo in quanto a speranza, ed anche lo sguardo del dott. Floyd alla scritta zero gravity toilet, a rifletterci bene, non fa altro che confermare il pessimismo capitale su un’esistenza che non conosce se stessa; l’agonia di HAL (…ho paura, la mia mente se ne va, lo sento, svanisce…) è il passaggio del testimone, forse l’ultimo possibile, di un’esistenza contrassegnata dalla crudeltà. Dialoghi imponenti in quanto a essenzialità e profondità (ogni battuta ha un così remoto riferimento da spiazzare ogni tipo d’interpretazione) fanno di questo film un capolavoro a 360°, in continua rotazione su se stesso. Nessun film di fantascienza è mai riuscito a ripetere un lavoro come questo, né per le immagini, né per quanto si dice, ma soprattutto per quanto non è detto (se il monolito avesse provato a parlarci, probabilmente avremmo anche noi sentito lo stesso fischio che stordisce gli scienziati che lo hanno scoperto sulla luna). Impagabile.

Il nome del calcolatore HAL 9000, al quale è prestata l’ottima interpretazione vocale di Gianfranco Bellini, è IBM ottenuto con un passo indietro nell’alfabeto di tutte e tre le lettere che compongono la sigla della famosa ditta di computer. Il film ha anche il merito di essere uscito prima che l’uomo arrivasse veramente sulla luna (la navicella spaziale con la quale David e Frank si portano all’esterno di quella madre, ricorda tra l’altro quella che portò Armstrong a mettere il primo piede sull’astro notturno). Le immagini visionarie e multicolorate che segnano il viaggio di David fino alla stanza bianca (girate come tutto il film in 70mm superpanavision) sono fonte di un’ispirazione lisergica dello stesso regista (da Il Mereghetti – Dizionario dei film 2000). Le musiche di Strauss impiegate per la maggior parte del film sono tratte da Così parlò Zarathustra. La prima versione apparsa in pubblico durava circa 160 minuti e lo stesso Kubrick dovette limarla fino all’attuale durata per esigenze di produzione. Per le scene spaziali fu chiesta anche la consulenza del regista italiano Antonio Margheriti (Manuela Martini, Film TV).

 

 

Bucci Mario

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