"Vuole un vecchio luogo comune che il teatro sia lo specchio di una società, e non c'è dubbio che da noi si avverta sempre meno la necessità del teatro. Forse questo disamore ha qualcosa a che fare col nostro ottundimento di fronte a una tragedia come quella della ex-Yugoslavia. Ho messo tre principi alla base del film: 1) Non mostrare immagini di Sarajevo. 2) Non parlare dell'altro in guerra ma di noi stessi in pace. 3) Filmare il teatro per davvero, accettando che lo sviluppo del film dipendesse dall'andamento reale delle prove."
(Mario Martone)

E' nella Sarajevo cosmopolita ma ormai lacerata nel profondo da una guerra civile cui noi europei siamo stati passivi e colpevoli spettatori che la troupe teatrale napoletana di "Teatro di Guerra" di Mario Martone vorebbe portare l'ellestimento dei "Sette contro Tebe" di Eschilo.
In un gioco raffinato di scatole cinesi vengono avvicinate la Napoli proletaria e disastrata dalla Camorra dei quartieri spagnoli, la Tebe della guerra scellerata fra i figli di Edipo Eteocle e Polinice, e la capitale bosniaca di cui sin dall'inizio attori e regista dichiarano di conoscere assai poco ("adattiamo il testo alla nostra realtà e non alla loro, perché la loro non la conosciamo"). E' in fondo anche questo velleitario tentativo una forma di violenza, gli attori stan lavorando per sé stessi, non per gli abitanti di Sarajevo che di sicuro non trarrebbero alcun giovamento nel veder rappresentata l'ennesima tragedia. Giusto e prevedibile che la troupe a Sarajevo finirà per non andarci mai. E intanto si muore, giorno dopo giorno, sia al di qua che al di là dell'Adriatico. E la velleitarietà di tante azioni italiane, al fondo generose ma spesso inutili e controproducenti, la sperimentiamo tutti i giorni, basta accendere la televisione o leggere un qualsiasi quotidiano.

 


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