Ci piacerebbe leggere le micro-storie come eventi davvero verificatisi in seguito ad un tacito malaugurio che a ciascuno può sfuggire nella prassi quotidiana, incrociando sconosciuti che si rivelano come impicci (come la bambina sulle scale della metropolitana di Sliding Doors). Forse si tratta della visualizzazione della congiunzione astrale di due individualità che consente di mediare l'idea che non possa esistere comunque mai una verità, neanche di fronte all'evidenza; potrebbe essere andata diversamente, sia razionalemente, sia approcciandosi ai fenomeni con l'appoggio di una qualunque fede. Eppure un sottile moralismo di fondo può individuarsi nel didascalismo nascosto dal fatto che l'unica volta che si affronta il problema senza perdere la testa e senza contrapporsi con rabbia al mondo si risolve vincendo la prova. La Waste Land lascia trapelare una luce, ma senza sfondare a forza vetri con ambulanze irose e assassine. Bisogna prendere una decisione, ma non basta: sembra non possa esistere quella ottimale in mezzo a tante possibili, seppure romantiche: quelle con il finale tipo À bout de souffle delle prime ricostruzioni sono morti talmente insopportabili che danno luogo ai tentativi successivi, e il lieto fine è amaro, vista la carambola di auto che provoca quella deviazione del destino. La decisione presa dopo il primo epilogo ferale è non accettare la soluzione e rilanciarsi in corsa col tempo ed il destino, tuttavia permane il dubbio giansenista di Funny Games, che tutto sia decretato e che a questo il regista si ribelli, senza tuttavia diventare demiurgo sostitutivo di un Dio che regola i destini del mondo.