L'intero dipanarsi della vicenda sarà poi un tentativo di unire i due punti in cui si trovavano gli apparecchi telefonici: si tendono "fili rossi" che collegano idealmente i due ragazzi, passando sempre per le stesse strade, ma con infinitesimali spostamenti che producono conclusioni anche diametralmente opposte.
Nonostante l'eclettismo, in realtà tutte le tecniche si sposano
benissimo e producono un surplus di significato: dal punto di
vista del ritmo innanzitutto cadenzato dai venti minuti (sia diegetici
che di proiezione), ma anche per quel che riguarda l'inserimento
di elementi inattesi, il patrimonio di attenzione investito nelle
aspettative permette di esaltare nella fruizione qualsiasi dettaglio
in una sorta di gara con il regista ad anticipare o a godere delle
miriadi di micro-storie concentrate e a loro volta alternative
tra loro nelle diverse condizioni di incrocio con la storia principale,
a sua volta retta da una sceneggiatura forte, autoriale, eppure
proprio per la sua effimericità resa caduca e dunque priva di
qualsiasi progetto metafisico.
Solo tra le pieghe del cinema si riesce a fare emergere la differenza
in una vita congelata e ripetitiva, più ancora che se si trasportasse
correndo un blocco di ghiaccio nell'Iran di Naderi (Il Corridore), ma come nei Funny Games di Hanecke, anche in questo caso il riavvolgimento della bobina dell'esistenza
non può evitare tragedie.