Come sarà poi analizzato nel decennio successivo sia da Canetti (Massa e Potere), sia da Jünger (Der Arbeiter), la Prima Guerra Mondiale fu un movimento di masse (e non di massa). Quindi buona parte del film vede imponenti marce di migliaia di prigionieri e la perizia dell´intervento cromatico trova precisione filologica nell´assegnazione di quell´ocra slavato che tende al pesante marrone del fustagno indossato dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Infatti fu il massacro di una stessa classe sociale, che, accomunata nella noia e dalla lontananza dalla prigionia, fraternizza con altre etnie, danza, si mette in posa nel riposo post-prandiale, dopo aver consumato una sbobba liquida e poco appetitosa per le innumerevoli colonne in marcia, riprese come farà Tina Modotti in Mexico negli anni Trenta (come a completare il rimando ai cortei del Quarto Stato).
    C´è anche il momento per rimeditare, dettando una lettera a casa; il testo ci viene cantato da Giovanna Marini e ricalca un´autentica missiva gonfia di tristezza, la stessa forma di bolo che colpisce lo scrivente per la materializzazione del ¨gonfiore di corpi sanguinanti¨. I toni sono quelli di Ungaretti, meno lirici, ma anche meno ermetici, però con la stessa consapevolezza di fine dell´esistenza: ¨Due ragazzi sono fuggiti. Uno su cinque ne han fucilati. Anche se io non ero il quinto, non vivo più. Questo è l´addio a tutti voi¨.