Le riprese a Mostar, pleonastico luogo di paura estraneo a cui aggrapparsi

Tornato dalla guerra un giorno Emir scavalcò la spalletta del ponte ricostruito e rimase fermo a guardare l'acqua. Da allora non si gettò più nel fiume

Un luogo topico giustapposto per convenzionale bisogno di inserire immagini della ex jugoslavia, ormai paese saccheggiato dall'immaginario collettivo e sfruttato come avveniva al Libano di Schlondorf. Le macerie dovrebbero essere spunto catartico, in realtà si poteva reperire ovunque una storia tipo quella di Emir e del ponte che introduce la citazione esplicita di Fassbinder fondamentale per dare la spinta a reagire e superare attraverso il dolore del piacere la prova del cancro: quindi è apprezzabile l'intrusione del racconto nel bel mezzo della sua angoscia (efficacemente ripreso in un b/n seppiato), ma molto scontata la scelta bosniaca.

Come avviene in Guediguian anche in questo caso sembra pretestuoso e inutile. Si tratta di un'imbarazzante intrusione del grande evento pauroso da porre in relazione all'individuale terrore. Retorico.
Altrettanto prevedibile l'inserimento di altri corpi "particolari": il padre cooperante si occupa di persone down, ovvero ennesimi organismi "diversi", come le macchine celibi produttrici di desiderio collettivo e le spoglie dei malati che languiscono nei capezzali in batteria, ripresi anch'essi in plongée.


no copyright © 1999 Expanded Cinemah Home Page No rights reserved