La paura custodita in se stessi espressa in ossimoro con l'osceno

Ho un diavolo nascosto nell'armadio e il lupo mi aspetta

Significativa la sottolineatura registica del momento individuato come centrale: il salto dal ponte immaginato da Nina come soluzione per scrollarsi di dosso la paura della paura avviene in totale assenza di sonoro, in bianco e nero, un corpo plastico e libero, addirittura vola ed è una condizione raggiungibile soltanto attraverso l'abbruttimento della prova sadomaso (pretesto pure per offrire anche questo aspetto della produzione pornografica, di cui Ferrario fa un compendio esaustivo, come una classificazione e non come immersione in malebolge successive): la soglia del dolore raggiunta e superata attraverso un piacere che evoca Le età di Lulù e The Brave come esigenza di riti di passaggio catartici, durante il quale Baroni le ordina di urlare per aumentare il suo piacere sadico, ma lei, come il tuffatore di Mostar, tace e trattiene ogni sensazione in sé, questa volta non è una rappresentazione rivolta allo sguardo altrui, ma diretta ad un solo spettatore, se stessa, ed infatti non ci sono sguardi di intesa sibillini, il corpo è un concentrato di aperture all'esterno, che assorbe tutto, anche le luci intermittenti da kammerspiel malato. Un buco nero alla Corsicato, che diventa universo concentrazionario, collettore di ogni sensazione limite, da cui emerge pulita, addirittura senza più tracce della malattia: "Sono io che ho usato te, Baroni!", beffarda liberazione della mente attraverso il corpo, a sua volta risanato.

Il sado-maso come catarsi



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