Nulla sfugge. C'è sempre una cinepresa nascosta da qualche parte. Si può essere filmati senza saperlo. Si può essere chiamati a rieseguire tutto davanti a qualsiasi canale televisivo. Si crede di esistere in versione originale, senza sapere che questa non è nient'altro che un caso particolare di doppiaggio, una versione eccezionale per gli happy few. Si è in balìa di una ritrasmissione istantanea di tutti i fatti e di tutti i gesti su qualsiasi canale. Un tempo avremmo vissuto ciò come un controllo poliziesco. Oggi lo viviamo come una promozione pubblicitaria.

In ogni modo, la cinepresa virtuale è nella testa. Non vi è bisogno di un medium per riflettere i nostri problemi in tempo reale: ogni esistenza è telepresente a se stessa. La TV e i media sono da molto tempo usciti dal loro spazio mediale per investire dall'interno la vita reale, proprio come fa il virus con una cellula normale. Non vi è bisogno di un casco né di una combinazione digitale: è la nostra volontà che finisce per muoversi nel mondo come in un'immagine di sintesi. Tutti abbiamo inghiottito il nostro ricevitore, il che produce intensi effetti di disturbo dovuti all'eccessiva prossimità della vita e del suo doppio, dovuti al collasso del tempo e della distanza. Che si tratti della telepresenza, dello psicodramma televisivo in diretta o dell'immediatezza dell'informazione su tutti gli schermi, abbiamo sempre a che fare con lo stesso movimento di cortocircuito della vita reale.

(Jean Baudrillard, Le crime parfait, Édition Galilée, 1995,
trad.it Il crimine perfetto, 1996, Cortina editore, pag.32)