Molti elementi riconducono all'esperienza pop, ma il maggiore di questi non è tanto iconografico, benché questo aspetto sia preponderante e il più evidente, apparentandolo a Waters, quanto la serializzazione delle situazioni sciorinate con la ricercata anafora strutturale che le rende assimilabili (ed il montaggio accentua questa sensazione), pur presentando lievi differenziazioni (come la variante sensuale del cioccolatino in vulva e l'epilogo suicida). Comunque sempre l'inquadratura giunge alla soglia dell'esibizione del risultato del furore, però si ferma all'atto violento: lo splatter è in quella parte fuori campo adiacente a ciò che vediamo, talvolta parte del sangue viene proiettato da quello spazio alieno al cinema (la stanza di Egg dopo il suo suicidio), ma non vi assistiamo mai direttamente, come già nel più cupo e disperato Doom Generation. In Nowhere il climax parossistico degli orgasmi trova il complementare nella litania televisiva ("Noi Crediamo"), che dà la stura alla sarabanda di suicidi e violenze, ribaltata sarcasticamente dal'eco lasciato dall'alieno al telepredicatore, depositando un asciugamano su cui campeggia "HOPE", cioè proprio ciò che manca nel nichilismo assoluto dell'opera.

Una delle poche immagini in esterni. Ci riporta all'inizio

Attrazione fatale: "Io voglio morire. Moriamo tutti" è l'urlo dopo la scopata al cioccolato al latte, fusione di sapori adolescenziali e fibrillazioni sessuali. Ma non è tanto il legame tra Eros e Qanatos ad attrarre Araki, quanto (ed in questo si accentua la comunanza con Mishima) la percezione decadente della destinale meta di un'evoluzione nei modi insani di essere vicini (nell'inquadratura strettissima si annusa il pericolo del contatto). Questo disagio si avverte anche nella maniera scelta di affiancare situazioni comuni: da un'inquadratura si trascorre ad un'altra simile sempre più repentinamente, finché si sovrappongono, si confondono in un unico grande cimitero. Questo è particolarmente vero durante il martellante ritornello "Noi crediamo", che accomuna la fine di Barth e di Egg, stuprata dal suo mito. Tuttavia con altre sfumature, ritroviamo il bisogno di una funerea catarsi finale anche nel monologo di Dark: "Mi sento soffocare nelle sabbie mobili in una lenta agonia, mentre attorno a me vedo tutti morire. Ho solo diciotto anni e sono irrimediabilmente condannato".

E presumibilmente si richiude nel proprio onanismo rassicurante

La TV consola, fa le veci del padre e annulla











































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