TODO SOBRE MI MADRE






Cecilia Roth, argentina emigrata in Spagna ai tempi della dittatura militare, è il personaggio chiave del film. Lei è la madre del titolo, voluto omaggio al film "Eva contro Eva" ("All About Eve", 1950) di J.Mankiewicz (in Spagna tradotto con "Eva al desnudo"). Suo figlio Esteban in una delle prime scene le dice infatti: "Ma perché devono sempre cambiare i titoli?" (barbara pratica evidentemente familiare anche a loro). "Perché non Todo sobre Eva?".
Manuela è un'infermiera, e collabora con il reparto trapianti, educando i cittadini all'importanza che riveste la donazione degli organi, finché non dovrà provare sulla propria pelle cosa significa autorizzare l'espianto degli organi di un caro defunto e deciderà di abbandonare la professione.


Manuela ha un figlio, Esteban, di appena 17 anni, del cui padre nessuno sa nulla, neanche il ragazzo. Esteban, scrittore in erba, morirà giovanissimo nella prima mezz'ora di film, travolto da un'automobile mentre insegue la sua attrice preferita per chiederle un autografo. La scena è girata in modo splendido e toccante, in soggettiva, macchina a mano, vediamo attraverso gli occhi di Manuela, e quindi vediamo male, storto, sfocato, travolti dal dolore.
Manuela seguirà il cuore del figlio trapiantato in un giovane uomo malato di cuore (notevole l'inciso che vede la madre straziata inseguire il cuore che emerge da un attacco al buio sul torace del beneficiato, cifra dell'atteggiamento del regista: a metà tra l'autoironia per eccesso di buoni sentimenti e ambigua complicità con le corde più patetiche degli spettatori maggiormente esposti a queste forme di sensibilità esplicita), e poi prenderà la decisione definitiva: andare a Barcellona a cercare il padre del ragazzo, per dirgli non tanto della morte dello stesso, quanto della vita: Manuela è scappata a Madrid 17 anni prima non dicendo a nessuno che era incinta.
A Barcellona Manuela ritrova la vecchia amica Agrado, un travestito generoso, buono, affettuoso e simpatico: è su questo personaggio che Almodóvar concentra soprattutto la sua verve, il suo humour, in un film dove invece domina piuttosto la tristezza e la malinconia, stato d'animo non poi così infrequente nella vita di tutti i giorni. E, attraverso Agrado, Manuela entra in contatto con Rosa, giovane novizia che potrebbe avere poco più degli anni del suo Esteban. Giovane novizia sieropositiva ed incinta, con nel ventre il figlio dello stesso uomo che fu il padre di Esteban. Ma non è un uomo, è un altro travestito, Lola. E' colui, o colei, che Manuela sta cercando, colui, o colei, per cui è venuta a Barcellona.
Manuela deve fare i conti col suo passato, e dunque accoglie Rosa in casa con lei e decide di avvicinare Huma, l'attrice di teatro che tanto ammirava Esteban, e per inseguir la quale era rimasto vittima del terribile incidente a Madrid. Huma recita in "Un tram chiamato desiderio" di Tennessee Williams insieme a Nina, la giovane amante. Manuela comincerà a lavorare per lei, sostituirà una sera Nina in teatro, e lo farà talmente bene da sollevare più di un interrogativo

"Un Tram chiamato desiderio ha segnato in modo profondo la mia vita", confessa Manuela. "Tanti anni fa ho intepretato Stella, e sul set ho conosciuto mio marito. Poi, pochi mesi fa, dopo aver visto voi nella rappresentazione dello stesso dramma, mio figlio, che tanto vi ammirava, ha corso sotto la pioggia per avere un autografo, una macchina lo ha travolto, ed ha perso la vita". E Huma ricorda, ma forse ricorda in modo diverso
Intanto Rosa partorisce, e muore dando alla luce il bambino. Manuela ha ora tra le braccia un altro Esteban, forse sieropositivo, che i nonni neanche vogliono tenere in casa per paura del contagio. Incontrerà Lola, ai funerali di Rosa. Lola che non sapeva, non sa di aver avuto anche un altro figlio, e soffre ora per non averlo mai visto, per non averlo mai amato. Manuela gli lascerà una foto, che poi ritroverà qualche anno dopo, quando tornerà a Barcellona col piccolo Esteban ormai fuori pericolo: Lola è morta, divorata dall'aids. E la vita va avanti.
Manuela è una donna tenace, incrollabile, con cui la vita non è stata particolarmente generosa. Una donna forte, capace di accettare tutto, anche che il marito torni da un viaggio di lavoro con "due tette grandi così". La sua vita è legata a doppio filo ad una rappresentazione teatrale: metafora della falsità che la circonda, o meglio del fatto che l'uomo della sua vita ha giocato da sempre un doppio ruolo e alla "maternita'". Curioso che i "bambini" siano tutti maschi: un simbolo di quanto gli uomini abbiano in realtà bisogno delle donne?


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