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24/11/2007
Tornando a parlare di cinema

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Ricominciare da Cassavetes

Ricominciamo da Cassavetes. Dopo un anno di visioni quasi del tutto silenziose, senza quasi far seguire resoconti o considerazioni scritte, senza trovare motivi validi per un editoriale... si può tornare a scrivere ora? forse che è arrivato un momento di cambiamento culturale, magari perché non se ne può fare a meno o perché il controllo non potrà che attenuarsi, essendo indebolito lo status quo a fronte delle nuove lobbies che generazionalmente e politicamente si affacciano a reclamare la loro parte? nascosti dal vecchio che sta per essere messo in pensione, dai molti collusi con uno strapotere esercitato in ogni ambito, si possono per caso riconoscere minimi segnali di una possibile svolta, ora che ci si potrebbe infilare nei varchi che il passaggio di poteri tra protagonisti politico-culturali sta per andare in scena...? mah, il programma di questo festival (prima delle visioni di pellicole) potrebbe avere spunti di novità, ma non si sa dove guardare per coglierli... insomma, cerchiamo di predisporci con un'apertura di credito; vedremo a consuntivo se stiamo peccando di ottimismo. Non siamo percorsi dal desiderio di trovare per forza una motivazione per tornare a scrivere di cinema dopo un anno sabbatico, ma ci piace immaginare che forse nell'understatement rigoroso e serio di questa edizione "nuova" - un po' meno "americana" si possano trovare pellicole non memorabili, ma che indicano un percorso diverso, stimolante. Il criterio non sarà dunque quello di individuare tanti capolavori, ma riuscire a cogliere linguaggi originali, spunti sorprendenti, anche se acerbi... anzi meglio se il prodotto sarà ancora imperfetto proprio come poteva essere l'idea di cinema iniziale per Cassavetes, che ancora non era l'allibratore cinese, ma infarciva il suo amore per il jazz più autentico con le forme sporche di quel bellissimo bianco e nero.
E poi i maestri a cui fare riferimento sono Il terrorista, ovvero Un uomo da bruciare ne La lunga notte del 43 dove Chi lavora è perduto (in capo al mondo)... non mancano i maestri di riferimento, o comunque non sono meno politicamente impegnati di quelli delle passate edizioni.

Moretti dice che occuparsi del festival - orfano dei vecchi conducenti, che ormai invitavano sempre i soliti autori e ai quali come sui vecchi tram "non si poteva rivolgere la parola" - non è un modo di fare politica e forse ha ragione: quella viene dopo... virtualmente dovrebbe proprio essere così: prima la proposta culturale e poi tirare le fila politiche, così ricominciare da Cassavetes - e un Cassavetes inedito, quello che interpretava un jazzista (Johnny Staccato) che integrava con indagini da private-eye il lavoro da precario (cinquant'anni passati invano) - ha un senso innanzitutto culturale, di speranza che sturando il tappo imposto dai troppi vecchi che occupano l'immaginario della società occidentale (e quest'anno ne sono morti proprio tanti), si sviluppi finalmente qualche novità... senza dimenticare quanto di buono ha popolato le nostre sinapsi finora. Non per questo seguirei il preconcetto ghezziano che non si deve frequentare il festival dove ai detour si sostituiscono le zone: l'anno scorso in quella sezione c'erano Alonso, Bressane, De Bernardi, Pollet, Sokurov, uno Snow più ripetitivo di se stesso... una sezione pallosamente targata Turigliatto, il complice di Ghezzi (e in Americana, il feudo Vallan, orridi film dimenticati di Landis, Carpenter, il solito Dante non al massimo e la tesi di Bogdanovich): era ora di basta!

E allora è come tornare alle radici quel bianco e nero - che sarebbe comunque piaciuto a Rondolino; forse non si sono voluti fare troppi strappi, individuando un autore comune a tutti -, quell'interpretazione distaccata, che mette in scena in modo evidentemente non realista, eppure volto a far emergere i tratti più caratterizzanti di una società, che ci appare subito spaventosamente simile alla nostra attuale: in Murder for credit trasmesso dalla NBC il 17 settembre 2007 un musicista giovane (Martin Landau, il futuro comandante Koenig di "Spazio 1999"!) compone il pezzo della sua vita, ci mette tutta la sua vita dentro (il pezzo s'intitola Life e un vecchio jazzista considerato finito glielo scippa, cioè esattamente quello che viviamo quotidianamente in ogni ambito... e ce Cassavetes non avrebbe sopportato nel resto della sua vita; in Evil (29 ottobre 1959) addirittura il giovane Staccato smaschera un predicatore, che raggira dei creduloni cristiani, ripulendoli dei loro soldi, facendoseli consegnare.
Ovviamente l'impianto televisivo è debole, ma decoroso; pagarsi Shadows con marchette che sarebbero considerate sovversive 48 anni dopo dal monopolio Raiset scoperchiato in questi giorni è sicuramente decoroso (eppure Cassavetes se ne andò sbattendo la porta per l'eccessivo moralismo della produzione) e un buon inizio di festival. Tornare alle radici si diceva, ma con tanto spazio per inventare qualcosa di diverso, riconoscere uno spiraglio per avviare nuovi schermi meno asfittici: persino in quelle poche sequenze, soffocate dal moralismo della rete televisiva in uno scorcio di secolo perbenista pre-Berkeley, traspare l'urgenza di narrare caratteri, tipologie di persone, ma soprattutto far trasparire da quelli gli individui con cui Cassavetes si mescolava tutti i giorni - le loro Faces e le loro Shadows -, cercando di mettere la sordina a effetti mediatici o messaggi retorici.

Del discorso onesto e con il cuore in mano pronunciato dal vero responsabile della "missione" di cui si è appropriato l'impostore, la parte che interessa a Cassavetes non è tanto quella per cui viene ascoltato dal popolo bue raggirato, che pochi minuti prima come zombies (è dello stesso anno il film di Romero, che somiglia tanto ai "mostri qualunque" intervistati sui nostri schermi televisivi quotidianamente) si avventano sul malcapitato investigatore che tenta di aprire loro gli occhi sulla truffa di cui sono vittima; il vero interesse di Cassavetes sta nel fatto che quell'omettino dimesso sta dietro le quinte e - fino a quel momento di intervento di massa pilotato, come se Canetti potesse fotografarlo in Massa e potere - in disparte lascia che gli eventi facciano il loro marcio corso e poi si risolve a intervenire con determinazinoe, in un rigurgito di indignazione. Ma senza prendere un piglio da eroe, questo è l'essenziale del bianco e nero di Cassavetes: non è al servizio di eroi, ha toni più grigi, seppure non sfumati; ombre meno staccate, benché sappia da che parte stare, persino quando sembra non solo comprendere il musicista che uccide il vecchio barone che si appropria del suo lavoro, ma risponde solo in parte alla domanda: "Cosa avrebbe fatto lei?" in una forma di solidarietà dolorosamente, jazzisticamente verrebbe da dire, copartecipe, se non complice, simpatizza: proprio come lo spettatore dei film di Cassavetes... sperando di estendere questa adesione almeno in parte alla rassegna.

adriano boano