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15/11/2005
In memory of... ToFilmFestival

Stavolta non sono proprio andato al ToFilmFestival a vedere Paris vu par.... Una pellicola che è esemplare metafora del «sistema Rondolino», che ingessa le iniziative torinesi ormai da decenni: con tutti i registi che parteciparono a quella pellicola - per lui e per la sua generazione fondamentale - un pretesto per riproporla non può mancare mai; ma per gli altri ci sarà un motivo per rivederla? e passare a una Paris vu par... les casseur, quando verrà realizzata e soprattutto quando verrà sdoganata da un Festival Cinema Giovani meno vecchio?
Se Ortega y Gasset aveva già preconizzato la ribellione delle masse giovanili negli anni Trenta, allora bisogna anche trovare il linguaggio per raccontare le imprese delle diverse generazioni con i loro birignao anche cinematografici che provengono dalla esperienza stessa, senza scomodare i padri e i nonni. In Indymedia si può leggere questo post: «Ogni nuova generazione viene al mondo senza sapere nulla della civiltà in cui è nata, animata solo dalle sue voglie e dai suoi impulsi spontanei. Per millenni, i sistemi sociali sono stati anche dei grandi sistemi pedagogici per "civilizzare" i barbari verticali: trasmettere loro i principi, la cultura, l'educazione che costituisce il tessuto del vivere civile». Chi lo posta è un fascista. L'unica cosa che si può salvare del suo delirio è l'individuazione che esiste il bisogno di nuove forme espressive che lui stigmatizza e vorrebbe ricondurre alla "tradizione" (occidentale, ovviamente) e noi invece vorremmo che sommergese tutti i mandarini di ogni fazione. Quello che sconvolge è che con toni soft è la stessa operazione che fa il Festival: disinnescare e ricondurre al proprio linguaggio, senza aprirsi a nuovi territori.
A questo punto sento già il brusio: «E i filippini?». Già, quest'anno c'è la grande innovazione: neanche un film sudamericano (nonostante la cinematografia argentina sia tra le più vivaci e innovative, se non la più innovativa), ma una serie di film filippini. Era già stato anticipato lo scorso anno: un lancio (che sarebbe stato meglio effettuare direttamente nella spazzatura) di quella cinematografia attraverso alcuni titoli francamente imbarazzanti. Non è il caso di giraci attorno: il cinema filippino fa schifo. O forse è veramente troppo distante dala nostra sensibilità, come dice il fascista di prima, ma senza volerlo ricondurre nell'alveo ebraico-cristiano, non potremmo lasciarlo ai filippini?
Il Festival cinema giovani credo sia stata una manifestazione centrale per la formazione cinefila di tutta una generazione, soprattutto se torinese; quello che difetta ora, dopo le gestioni scoppiettanti di Steve Della Casa, è quell'atmosfera d'antan non sostituita da altro che glamour (inadatto alla passione), quel festival è soppiantato da una più tranquila e innocua mondanità che rimpiazza l'analisi con la vacuità; paludamenti che si parlano addosso senza scoperte sostanziali: sanciscono solo quello che ormai è assodato, altro che i cinesi di Barbera!
Non c'è più l'atmosfera divertente e un po' scanzonata dei tempi di Steve, quando si incontravano i veri maitre a penser, i vecchi di Lc (Nicola, Carlo, Lurens, Mariulass: ci sono ancora, ma il loro piglio è sempre più sconcertato da quanto vedono con maggiore distacco di un tempo, e non è solo l'età); loro erano il polso e la vera critica sostanziale alla pellicola vista. Ora si direbbe che anche queti sinceri cinefili siano un po' stufi di vedere sempre lo stesso film.

Infatti poteva mancare Naderi con il suo solito film americano, travestito da iraniano pentito? Ci siamo realmente estasiati con le sue opere, ma anche lui come i suoi connazionali di sangue si riduce a fare la maniera (più intellettualizzata e occidentalizzata) di se stesso, come Kiarostami. Immagino l'opposizione: «Ma come, due settimane fa avete dedicato un ipertesto - per altro non ancora concluso - a quei due film di maniera alla Burton con toni esaltatori...!?!». Sì, tutto vero, ma il Festival non dovrebbe servire a battere nuovi sentieri, a non riproporre certezze, ma volto a sorprenderci, un'occasione per vedere i film che non verranno mai distribuiti e non solo perché di vedere l'angoscia mortale dell'ennesima figura femminile in un condominio di Tsai Ming Liang non ha più voglia nessuno!? A parte se fa figo andare a vederlo, dormendo al festival. Da palestra di nuove visioni a rito del solito cinema riproposto di anno in anno uguale a se stesso.
Persino Walter Hill hanno formalinizzato, reso istituzionale e con dichiarazioni di prammatica: avevamo visto tutto di lui, "allora". Amato e digerito e consumato: faceva parte della nostra anima anarchica, aveva contribuito a rassodarla. Qualcuno mi spiega a cosa e a chi serve riproporlo? Per farci toccare con mano quanti anni sono passati? Vi sembra che i Warriors siano assimilabili ai Casseur? Non si somigliano in nulla, a cominciare dall'aura romantica. I guerrieri della palude silenziosa erano adatti a quella contingenza, ma per raccontare attraverso fiction l'epopea al fosforo bianco - che impressiona il nastro documentaristico, ma non la pellicola chimica del cinema o le menti e i cuori - quale linguaggio si dovrà inventare? Torrealta e Rinucci hanno fatto precedere a quell'orrore le immagini celeberrime del Viet Nam... ma Robert Kramer non è più tra noi ed è sufficiente che nessun giornale o televisione ne parli per relegare alle 7,30 del mattino lo spalancamento dell'inferno di fronte agli occhi di pochi intimi (forse anrcoinsurrezionalisti nell'ossessione di Pisanu). Come forare il video con il fosforo bianco che lascia intatti gli oggetti? i televisori ci sono, mancano gli occhi e le menti predisposte a vedere. Quale linguaggio si dovrà inventare per raccontare la rivolta delle banlieu, sicuramente il premiato bianco/nero laccato e stantio (certamente palloso) di Garrel non va bene, ma nemmeno i birignao di Kechiche sono adatti... eppure è la vera svolta epocale, il nuovo Maggio, insieme con il nuovo soggetto ribelle No Tav: Sarkozy e Pisanu hanno un medesimo nemico, uno lo chiama "feccia, canaglia", l'altro "anarcoinsurrezionalista" (una sua invenzione che fa effetto solo su menti malate) e la controfigura brutta della Guzzanti che fa la parodia strabica (in senso metaforico) della Annunziata non riesce nemmeno a pronunciare il neologismo e rievoca splendidi fantasmi insistendo con gli anarcosindacalisti (il mitico e indomito Cosimo Scarinzi ringrazia). Questa situazione non ha cantori, se non documentaristi. Quello che stenta a crescere (e il festival non aiuta) è il linguaggio cinematografico per emozionare in un contesto evoluto rispetto a quel modo vecchio di 23 anni di affrontare lo schermo che si accende e comunica idee e storie, manca la sensazione di assistere a un racconto nuovo, non immediatamente assorbito e riconciliato; piuttosto ribaldo e non riconducibile al solito Ruiz, che fa sempre lo stesso film - spesso bellissimo. talvolta meno -, noi dovremmo riciclare le stesse elucubrazioni, le medesime impressioni dello scorso anno... un rito, una cerimonia.
Qui sorge un dubbio: quando gli attuali trentenni (uno dei quali è sguinzagliato al Festival anche per Cinemah) si stuferanno della coazione a ripetere che il più giovane e intelligente dei Rondolino ci propone dal suo osservatorio yamatologico, cosa faranno? Forse un editoriale tipo questo. Sempre le stesse ossessioni dei cineasti giapponesi: identiche trame e medesimi registi. Senza parlare della ossessione narcotica (e necrotica, direbbe con i soliti giochi linguistici, l'immarcescibilmente uguale a se stesso enrico ghezzi - rigorosamente minuscolo e giustamente dileggiato dal nostro inviato all'Avana insieme all'orrido Momo in una gustosa parodia shakespeariana) di Sganzerla che attanaglia Turigliatto, da noi considerato responsabile anche della riesumazione di Chabrol: una retrospettiva degna della tv di qualche anno fa.
Quello che realmente dà la cifra del declino del Festival è paradossalmente la sua punta di diamante: il "comparto Vallan": I Maghi dell'Orrore è un'operazione vetusta, già di maniera quando il grande Matheson firmava le sceneggiature per Twilight Zone e questo espediente è da basso impero. Sempre i soliti "amici americani" dell'algida Giulia, persino di quel genio di Joe Dante non se ne può più, addirittura il ripescaggio di Landis appena un anno dopo (come se fossimo in una orrida canzone di Fred Buongusto). I due direttori sono l'immagine smorta del festival: superficiale modaiola l'una, specialista intellettuale profondissimo l'altro, ma privo di anima: mestieranti posti a guardia del bidone con l'incarico di non fare intemperanze: se Carpenter si mettess i suoi occhiali, li riconoscerebbe come in Essi vivono.
Forse Dalla nube alla resistenza andava riproposto ancora una volta? Tutti quelli, che come noi, lo hanno amato fin dal 1979, e che volevano amarlo, lo hanno stravisto, gli altri si annoiano e non possono che trovarlo incomprensibile, lento o nel migliore dei casi - non me ne voglia Domenico Carosso - datato. Non voglio nemmeno paragonare i due sommi alsaziani al cinema di Tonino De Bernardi, ma se per un anno almeno ci risparmiasse al sua presenza (lui e i suoi parenti), saremmo grati.
Di nuovo infine emerge dalla nostra coscienza obnubilata la stessa domanda già sorta con il festival del cinema ambiente: su tutte queste centinaia di film, ma possibile che nemmeno uno parli di Olimpiadi o del Tav? proprio a Torino?! Di nuovo il film di Adonella non era pronto? o la Regione, la sondaggi-Bresso, avrebbe ritirato le sovvenzioni, seguita a ruota da trivella-Chiamparino?
Se confrontate i programmi dei vari anni, potete divertirvi a contare le ricorrenze dei nomi... e dopo 23 anni vi aspettereste, forse, che qualcuno cambi, altri vadano in pensione senza lasciare figli a presidiare la cinecamera, si scopra finalmente un cinema altro... o almeno che si sancisca definitivamente la sua inesistenza, per continuare a ripescare sempre «i soliti noti».

adriano boano