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21/05/2005
Pelosi(tà)...

Una serie fotografica crudele, ma necessaria per ricordarci cosa siamo e ricordarci anche cosa potremmo non essere

L’immagine verità… le immagini sono sempre verità, fonte di una dimensione che chiamiamo “reale”. Prodotto continuo, allucinante, brandello di storia. Fatto a pezzi come Pier Paolo Pasolini, quella notte di tanti(ssimi) anni fa.

Nel montaggio blasfemo, in dissolvenza incrociata, tra studio televisivo e foto d’archivio della perizia del medico legale.

C’è un odore terrificante di morte, che non viene dalle immagini riproposte, ma ancora dalle parole dello stesso Pasolini. Angelo malefico, che ritorna, sterminatore dei nostri sguardi attutiti, anestetizzati, di fronte alla burla oscena del clown Pelosi. Il quale mette in scena, nei minuti allucinanti della confessione di questi giorni, tutta l’aleatorietà dei processi. Anche se quello di primo grado aveva sentenziato la presenza di minacciosi ignoti. Che ignoti, si badi bene, rimarranno, per sempre, nel segreto oscuro dell’ennesimo “omicidio di Stato”.

Pasolini è resuscitato come corpo cadavere, le sue membra putrefatte e irriconoscibili per la melma di sangue, hanno sputato altre sentenze. La prima è quella della ricattabilità di un uomo qualunque, l’uomo mediocre per eccellenza, Pelosi, l’uomo bambino, sottomesso al potere violento dei tragici malfattori. La seconda è quella del teatrino televisivo dell’inchiesta, con giornalisti, avvocati, altri che gufano il suo cadavere per continuare a scrivere, continuare l’estenuante bla bla… di una società ormai a pezzi, irredimibile, perché non in grado di fare i conti con le sue ombre, subito. Di esorcizzare tutto con il crocifisso, la Chiesa, il Papa, la tradizione. Senza riconoscere i limiti della propria libertà, nella libertà degli altri, anzi nel rispetto reciproco benevolo, tenero, come avrebbe voluto anche Rossellini. E invece è continua pantomima, come i referendum italiani su embrioni e procreazione mandati alle ortiche, già preventivamente sotto il quorum (che non sia così è una debole speranza). Facciamo finta che tutto questo non ci riguardi, eppure la sagoma di Pasolini è pronta a ghermirci più da morto, adesso, che allora da vivo. Non certo attraverso la banale (ri)ricostruzione degli eventi criminosi, ma solo dall’unico gesto possibile: una serie fotografica crudele, ma necessaria per ricordarci cosa siamo e ricordarci anche cosa potremmo non essere…

Andrea Caramanna