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11/09/2004
Siamo in carenza di Eresia #3c.
Bambini consapevoli incantati dal mito

In Uruguay una locomotiva contro l'invasore yankee.

(Ribellarsi al colonialismo può ancora ammantarsi di poesia, come a Barcelona nel 1936)


Il bambino de El último tren (film uruguayano-argentino di Diego Arsuaga, con i tre grandi vecchi del cinema sudamericano Ferdinando Lippi, Pepe Soriano e Héctor Alterio, a cui va aggiunto Balaram Dinard, il bambino Guito) è protagonista attivo della "33", la macchina sbuffante vapore che arranca su binari sconnessi, che percorrono il cuore del Paese quasi fosse viva - infatti il titolo originale sarebbe Corazón de fuego, da salvare dal mercimonio di un giovane senza memoria che ne fa materia di scambio proprio con gli odiati yankee, la bieca Hollywood, che vorrebbe usare la locomotiva per un suo film e dunque per adattarla, piegarla al suo occhio coloniale.

Il bambino è protagonista della vicenda della "33" anche quando sembra passivo, ovvero in trepido ascolto di quanto gli viene raccontato. Ascolta storie del passato e lo vede in parte replicato sotto gli occhi, grazie ai suoi compagni anziani, alle sue guide spirituali. E si sente parte della favola, grazie alla macchina pulsante che percorre la pianura con un po' di retorica d'antan, indomita e inarrestabile. Il bambino qui non è vittima - come i poliziotti cercano di far credere nella manipolazione televisiva -, ma protagonista... e rimane incantato ai ricordi di guerra di Spagna, che poi si scoprono di seconda mano, provengono da un passato irripetibile, perché quegli ideali non si ripeteranno facilmente, arrivano da un altro continente, eppure non per questo sono meno veritieri - per lui mantengono quell'aura di veridicità che ha sostenuto il ferroviere, nutrito per tutti quegli anni dai raconti del fratello maggiore, lui sì, davvero combattente per la repubblica anarchica di Barcellona, di cui fa bella mostra di sé nella sua camera la bandiera a tre bande tricolori orizzontali, l'ultima Comune per cui valse la pena di combattere. Un vessillo che possiede anche il suo mito con tanto di cavalieri del medioevo che si scagliano contro il drago... che è ovviamente il franchismo. Su questa base, grazie a un megarecit, il ragazzino diventa un grimaldello mediatico, che si ritorce contro chi lo voleva rapito dai tre vecchietti (simili a quelli di Vivere alla grande, ma persino più motivati, come solo i sudamericani riescono ancora ad essere).

Yo Puta

E poi la Locomotiva, luogo retorico di ogni rivoluzione (Vertov ci portava il suo kinoglaz), fulcro per lettristi e pionieri del far west, una locomotiva a carbone e sul mucchio di carbone il ragazzino si arrampica come i bambini di Zero de conduite sul tetto della scuola i cui metodi sembrano parodiati dai terroristi di Beslan, mentre le riprese in mezzo busto dal punto di vista del carbone sono avulse dal contesto come certi primi piani de Il ragazzo dai capelli verdi.

Non mancano indicazioni che valgono universalmente: "Si guida con sentimento", la rivoluzione e l'arte della manutenzione della locomotiva; "Atto irresponsabile, però carico di poesia", autocritica e autoassoluzione ironica e... piena di poesia; verso il nipote giornalista: "Non puoi sempre essere un cacasotto!" e infatti la copertura mediatica è assicurata; "Da quando in qua la polizia segue una morale?", verità da incorniciare e ripetere ogniqualvolta vogliano farci credere che gli sbirri si sono umanizzati; nobiltà della sconfitta: "Come i franchisti, il nemico è meglio equipaggiato e in vantaggio". Eppoi ogni generazione ha le sue battaglie, magari meno epiche, ma almeno vincenti.. e documentate: nella stazioncina deserta (abbandonata quasi da zona dello Stalker) salta fuori un documento che ritrae il ferroviere durante gli scioperi del Quarantanove: "I poliziotti erano ragazzini: gli abbiamo rotto il culo".

Non intendiamo sostituire alle religioni un altra forma di credo fondato sul ricordo commosso delle sconfitte e sui santini agiografici di un esaltante periodo antifascista, ma sostituire le narrazioni assassine dei precetti biblici o dei versetti più o meno satanici con la sana proposta di una favola ambientata nella pampa, luogo di tutte le narrazioni, ci sembra doveroso. Se poi il mito è incarnato da una sbuffante vaporiera, che azzera con la sua sola presenza un secolo di finto culto del progresso (che è solo tecnicismo, fondamento di oligarchie) senza rimpiazzarlo con l'oscurantismo dei preti di ogni tipo e tonaca, allora abbracciamo i tre vecchietti e partiamo con loro come fuochisti. Come Guito.