Editoriale

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


Editoriale

11/09/2004
Siamo in carenza di Eresia #3b.
Bambini di guerra

La loro immagine neorealista come indicatore dello scivolamento in un'epoca di guerra.

(Terrorismo televisivo e religione)

Incubi della mente
Neorealismo infantile

La ditta De Sica/Zavattini attingeva uno sguardo particolare dai bambini che avevano visto la guerra e ne stavano uscendo; in questo permane la portata innovativa del neorealismo, prassi cinematografia valida tuttora - come spunto lontanissimo da rielaborare adattandolo alle esigenze politiche attuali, come fanno spesso le cinematografie orientali (iraniane in particolare, ancora quest'anno alla Biennale di Venezia - Piccoli ladri) - perché mezzo narrativo e ottima profilassi per superare gli orrori della guerra, o gli orrori della mente (Spider; sussistono ancora tentativi di uscire dall'indicibile e sono in genere esterni alla cultura che vorrebbe esportarsi a livello globale, quella che definisce gli "altri" come inferiori, incivili, arretrati... da gratificare con una bella sostituzione della loro cultura vecchia e obsoleta con gli hamburger e il teatrino compassionevole del petroliere da un lato, oppure - nella versione progressista - nell'occasione di creare uffici di ong che prosperano in contrapposizione alla guerra, traendo da essa la linfa vitale. Magari pubblicizzandosi attraverso figure di bambini, di nuovo gli stessi che da Ladri di biciclette (alla mostra n°61 di Venezia Piccoli ladri di Merziyeh Meshkini, una donna, altro soggetto che diventa categoria che stupisce - non si sa perché dovrebbe - quando subisce o fa azioni che subite o eseguite da maschi non stupirebbero) in avanti vengono imbarcati in girotondi ad uso delle telecamere, o presi a schiaffi dai registi di tutti i tempi perché sia (neo)realistico il loro pianto. Bambini utili per l'unità nazionale, così funzionale alle politiche dei due poli.

bambini di guerra
turbe

La mente persa nei meandri della ragnatela

Molti sono stati colpiti dal glaucopide occhio del bambino osseto, terrorizzato, fotografato in braccio a qualcuno che fisicamente a Beslan lo ha estratto dalla scuola/film dell'orrore, bambolotto buono per una superficiale lacrimuccia, ma in realtà nelle sue pupille si vede quel film a cui ha assistito, programmato ormai all'infinito dietro a quello sguardo ormai attonito. Si tratta di una proiezione privata che sarebbe osceno condividere: infatti si rimane fuori dalla sala; e solo lui potrà forse un giorno interrompere la proiezione. Altrettanto terribile è risultata un'immagine di un alunno costretto in una posizione innaturale, sotto la minaccia di uccidere i suoi compagni se si muoveva; senza arrivare al tipo di minaccia, quella era una prassi nella scuola a cui guarda piena di nostalgia Moratti-Brichetto, la integralista della scuola italiana. Mi sembra tuttavia molto più rivelatrice per noi un'annotazione a margine riportata nella ridda di episodi: la notizia, scarna e stringata - come poche in questo frangente in cui i giornalisti cercano di colmare con la retorica l'incapacità di comunicare -, riporta: "un bambino non ricorda nemmeno più il suo nome". Ecco il punto; e curiosamente non prevede immagini, anzi: è pura "parola". Quel bambino non riesce a trovare in sé e nelle proprie risorse narrative l'antidoto: non può affabulare il suo orco, perché mancano fiabe a cui aggrapparsi proprio nella patria di Propp e Afanasiev. Non c'è più un legame tra generazioni nell'Occidente (nei documenti richiesti all'ingresso del faro mondiale di quella che si autoproclama democrazia da esportazione si impone di specificare la "razza" del viaggiatore/migrante: quella degli occidentali è individuata come "bianca caucasica") e nei suoi satelliti che vogliono solo dimenticare la parentesi settantennale di involuzione del pensiero bolscevico - da idea di emancipazione delle masse a idolo a cui immolare la loro libertà, da Kronstadt in avanti - per tuffarsi nel vuoto cosmico del capitalismo. La rimozione che ha operato quel bambino dell'Ossezia è sintomatica del suo mondo, ovvero il nostro: di fronte all'insostenibile ricordo di sopravvissuto, all'insormontabilità dell'orrore di cui è stato spettatore privilegiato, dopo che gli scorreva quel film per l'ennesima volta davanti agli occhi è passato allo stadio successivo a quello dell'attonito bambolotto gettato in pasto a tutte le prime pagine e... non ha potuto fare altro che cancellare cancellare cancellare... a ritroso. Ha cominciato a buttare via tutti i ricordi con una furia imposta dalla fretta di non poter più vedere, di non ferire più a morte la sua anima. E questa redde rationem, questo rogo catartico si è appiccato a tutto se stesso, fino alla propria identità.

Assenza di memoria della propria identità bruciata nel rogo della guerra

Herling, Gustaw, Requiem per un campanaro / David Cronenberg, Spider


Quell'identità gli è stata cancellata dal nazionalismo che riesce nell'impresa di trasformare un bambino in un nemico agli occhi di una giovane donna: il nazionalismo è dovunque condannabile (anche nelle fanfare di Mameli e nei tricolori zuppi di sangue, sventolanti persino in occasioni sportive come le recenti Olimpiadi, che infatti con la loro lugubre simbologia militar-guerrafondaia insozzano più del doping lo spirito di De Coubertin), ma adesso intreccia il suo malefico influsso con quello del fanatismo religioso (da una parte e dall'altra: infatti questi folli somigliano sempre di più alla ghigna invasata dei Caldaroli e degli altri ministri legaioli della nostra povera repubblica, o al cinismo barbaro di Feltri), loro sì sanno riconoscere il pericolo dell'integralismo islamico: certo, è il loro riflesso. La stessa (poco) lucida follia, registrata ma propagandisticamente edulcorata da Michael Moore per non urtare un elettorato narcotizzato dal proprio essere profondamente americano.

Ecco, quell'incapacità di riconoscere che a furia di arroganti vessazioni si potesse arrivare a tanto, l'incapacità di immaginare che potessimo spingere intere popolazioni all'odio verso l'occidente imperialista (ricordate? "Perché ci odiano tanto?" si chiedevano quegli americani che si stavano preparando ad andare a divertirsi a Abu Ghraib o ad allestire il campo di concentramento di Guantanamo), la cecità si riconosce finalmente nella stupefazione dipinta sul volto di Malkovich, impreparato a quel tipo di racconti nichilisti, che invece è in grado ancora di elaborare la bambina tamil, che ha subito le stesse torture psicologiche.


Ecco, la bambina indiana può capire la giovane donna cecena, mentre noi non siamo più in grado di sviluppare un'analisi concreta sulla responsabilità personale dell'individuo, trasformato in Erinni, strega che rincorre i ragazzini nel cortile della scuola per saltare in aria con loro, scindendola dalla responsabilità collettiva che si sta riversando su tutti quanti in virtù della famigerata globalizzazione: non si tratta solo di singoli ingranaggi adoperati dal potere che eseguono gli ordini, come era nel caso di Eichmann, nella loro banalità grigia e evanescente, al limite può esserlo l'unico "testimone" lasciato in vita dalle teste di cuoio russe, un fantoccio dichiarato come proveniente dal commando, creato per ragioni politiche. Invece le vere protagoniste sono le autentiche testimoni di quella orribile guerra che il "nostro buon amico Volodja" ha scatenato. Le vedove cecene sono giovani ragazze colpite nei loro sentimenti, stuprate moralmente ancor prima che fisicamente; il loro nazionalismo è solo l'unico sfogo rimasto a esistenze distrutte dalle torture e dagli assassini perpetrati dall'imperialismo russo, la loro trasformazione in bombe umane è il risultato della incapacità di vedere che se si arriva ad abissi di aberrazione simili da trasfigurare un insieme di bambini nell'idea astratta della loro nazionalità, significa che il processo del ragazzino di cancellazione della propria identità è già stato percorso da quelle donne di poco più anziane di lui. E qualcosa ha innescato quel meccanismo: non sono esseri viventi, sono zombie, morti nel momento in cui criminali russi degni dei loro compagni di Abu Ghraib, hanno infilato le loro teste dentro le pance squarciate dei loro mariti rantolanti. Da quelle viscere seviziate di Grozny provengono i morti dell'enclave ortodossa, che nessuna Antigone, neanche se diretta da Anghelopulos, potrà mai riscattare.

Nella nostra - disperata - eresia numero tre ci viene una gran voglia di invitare i laici di tutto il mondo, maggioranza nel mondo, a ripudiare i governi di unità nazionale che hanno solo e sempre creato trincee zeppe di cadaveri e ad abrogare tutte le religioni (percorso illuminista), responsabili di odii millenari.