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23/12/2003
Scippi sui tram
Tra lotte d'altri tempi e novello autoritarismo

Questo è lo sciopero dei lavoratori, non dei sindacalisti

(Frase esplicita rivolta a sindacalisti Cisl, che svolgevano il loro sporco lavoro di pompieri in un deposito di Genova)

Aldo Fabrizi nella sua maschera popolana difficilmente cooptabile da qualsiasi fazione nel 1954 firmò un film che aveva iniziato Mario Bonnard insieme alla fotografia di Mario Bava, ma che era stato accompagnato in ogni sua fase da un giovane di enorme talento che poi espresse l'unica cinematografia anarchica italiana: Sergio Leone. Il film, tardo neorealista e con quella atmosfera trasognata zavattiniana emendata dalle caratterizzazioni di Fabrizi e Campanini, che insufflavano umanità dolente, s'intitolava Hanno rubato un tram e narrava di un tramviere appassionato di bocce che in quel gioco eccelleva e batteva un controllore, il suo capo, che per quel motivo gliela giurava; lo perseguiterà sprofondandolo nella disperazione che lo risucchierà in un vortice, facendogli perdere le sue sicurezze, il suo status economico, le garanzie per il futuro, la pace familiare, il suo equilibrio mentale. Addirittura lo sospendono dal servizio, "per aver abbandonato la vettura", come minacciano questi mentecatti della politica nostrana, i servi pagati per picconare le regole (altrui), non rispettando i contratti a cui sarebbero tenuti, figuriamoci quello "con gli italiani".

Esattamente 50 anni dopo, l'inarrivabile insipienza della sinistra e la retriva cialtroneria di un governo palesemente fascista sono arrivati al punto di negare il diritto di sciopero e di sanzionare il "furto" dei tram. Nessuno ha realmente rubato le vetture, ma nemmeno Cesare Mancini lo aveva fatto davvero nel film ambientato nella Bologna di Alida Chelli: semplicemente - per protesta - anche lui aveva usato il suo mezzo per dimostrare il suo disagio; aveva preso un tram per far conoscere l'ingiustizia, non l'aveva ancora "lanciata a bomba contro" di essa, ma aveva espresso la sua rabbia. Sarà che quella società era meno spersonalizzata dalla televisione, vuoi che si sentisse di più la solidarietà - ancora ieri il vecchio operaio, che alberga in mio padre come in una vignetta di Staino, mi diceva che loro avrebbero solidarizzato con gli altri lavoratori e se si fosse arrivati in ritardo o per niente affatto durante uno sciopero di autoferrotranvieri, il caposquadra non avrebbe avuto nulla da ridire: giustificati, e parlava di Fiat dopo, ma anche prima, il Sessantanove. Mica come per i nuovissimi rampanti che devono dimostrare l'attaccamento all'azienda industriandosi ad arrivare anche in contingenze proibitive -, sta di fatto che la folla di gente che sale sul tram rubato da Fabrizi non è inviperita come vorrebbero farci credere i notiziari dell'ineffabile piazzista di palazzo Chigi; addirittura, allora, quello che oggi sarebbe un emissario del regime, "il bigliettaio", testimonia a favore di Mancini, scagionandolo; oggi invece "il controllore" Maroni vorrebbe ritoccare una legge antisciopero già di per sé intollerabile, usando a pretesto la lotta sfuggita di mano al sindacato tre volte venduto: una prima volta quando rifiuta lo scontro (in sintonia con "il manifesto" - vergogna: far parte dell'unanime campagna diffamatoria - che il primo giorno con un editoriale del suo neodirettore, quel giorno non ancora in pectore, stigmatizzò l'iniziativa sviluppatasi al di fuori del suo sindacato, temendo di arrecare disagi ai borghesucci ai quali chiedere un voto per la normale amministrazione, anziché auspicare la "città futura" e intravedendo l'inasprimento delle regole, senza pensare che comunque già quelle accettate nel patto di Natale del 1993, o ancora prima nel 1990 da Trentin, sono sufficienti per impedire la riuscita di qualsiasi lotta, sottraendo a ogni conflitto sociale qualunque arma convenzionale di fronte a un padronato che usa quelle di sterminio di masse), una seconda volta siglando un accordo inaccettabile (ma questa è ormai una prassi da quando più nulla passa dalle assemblee, niente è ratificato da referendum se non regolati da farse truccate dai falsi sindacalisti, nulla può decidere il lavoratore riguardo al contratto che altri firmano per lui, quegli stessi che si guardano bene dall'adeguare il proprio stipendio a quello da loro accettato per altri e ordiscono le trappole: prima smobilitiamo, torniamo al lavoro, e poi con comodo facciamo una assemblea farsa, dopo avere magari intimidito per telefono i più a non votare contro l'accordo e a presentare il piatto di merda fumante offerto da governo, padroni e sindacati confederali), la terza volta sta iscritta nel dna di un sindacato pompiere e colluso con la controparte, quando insiste nella strategia perdente nel momento in cui la base dimostrerebbe compattenza e conferirebbe forza alla iniziativa sindacale.

La sconfitta a questo punto è stata sancita: i lavoratori dei trasporti non otterranno nulla di più del pugno di mosche che gli hanno elargito come un elemosina, schernendoli e derubandoli di accordi già sottoscritti (ricordate il Doberdò de La califfa? O volete un esempio dell'imprenditore italiano serio e intraprendente come Callisto Tanzi?), e i nuovi controllori continuano a rimproverare Cesare Mancini / Aldo Fabrizi per aver reagito allo scippo del denaro che gli spetta secondo gli accordi di tre anni fa, abbandonando la vettura. Questo gesto era costato caro nel 1954: tre mesi di sospensione dal servizio, allora quando la casa era arredata in modo oggi tanto diversamente («In cucina, la moglie del tramviere Fabrizi tira la pasta. L' ambiente è spoglio. L' unica cosa elettrica è la lampadina che pende sotto il cappellino di vetro ondulato. Piani di lavoro in mattoni, un fornelletto, una piccola ghiacciaia in legno foderata di zinco, la credenza per piatti e bicchieri. Niente tv, niente lavastoviglie, niente frigo, niente telefono. Altro che cordless, gsm, tecnologia wap, modem o fax», come descritto efficacemente da Alberto Angelici). Nell'era del televisore che orienta e decide cosa abbia dignità o cosa no, gli costerà di più. Perché abbiamo questa certezza? Perché a fronte di accordi spazzatura non si è mai visto che venissero riconosciuti come tali, anzi i borseggiatori governativi in azione sui mezzi pubblici sono affiancati da quei venduti i quali anche stavolta (come dal 1920 in avanti) non riconoscono la possibilità offerta dall'esasperazione di appoggiare finalmente una svolta che getti le basi per bloccare il processo delle destre padronali di cancellare i diritti. Tutti i diritti... O forse lo riconoscono molto bene e si mettono di traverso perché proprio quello è il loro compito: soffocare le proteste spontanee, affinchè il regime prosegua indisturbato, e loro con lui. Inoltre i lavoratori più attivi vanno filmati, schedati, pedinati, e magari perquisiti, puniti e messi alla gogna dai pennivendoli dell'industria dell'informazione.

Per un fenomeno di curiosa persistenza retinica di lunga durata affiorano altre immagini: qualche anno fa, una decina, al di là delle Alpi i camionisti bloccavano tutto il traffico su ogni strada. La solidarietà della popolazione era totale: portavano anche cibi caldi, coperte, conforto e la certezza che il risultato non poteva che essere un successo dello sciopero, perché il potere stava dall'altra parte e tutti erano di qua dalla barricata... ma i francesi sanno come costruire le barricate da più di 200 anni. Nella gretta italietta che mai ebbe una rivoluzione (la Resistenza fu rintuzzata nel momento in cui avrebbe potuto disfarsi del bubbone fascista e adesso i Pansa rinfocolano quell'orrore) troveremo invece sempre un lacché impegnato a intervistare un'anonima borghese ingioiellata, che non ha mai utilizzato un plebeo autobus in vita sua, intenta a sollevare lai sullo sciopero "selvaggio". Ma di quale selvatichezza si va delirando? Lo sciopero o arreca danno alla controparte, o non va neanche provato. Le cosidette regole antisciopero già solo per il fatto di esistere testimoniano la deriva autoritaria di una società che si è consolidata molto prima di consegnare tutto il potere all'autocrate piduista.

Il motivo per cui non abbiamo speranze in un sussulto di coscienza è che mancano episodi come quello di Mancini: un tram che deraglia dal suo percorso e insegue i sogni di rivalsa e, ingovernabile da qualsiasi bonzo sindacale prezzolato, si dirige verso un campo di bocce, luogo canonico dove consumare una vera sfida degna di Clint; un corteo di bus che deviano e portano i passeggeri a godersi il sole invernale esploso in un tramonto collinare, o al cinema a vedere un vecchio film, Hanno rubato un tram... o meglio ancora Convoy, trincea d'asfalto del pellerossa Peckimpah. Ci manca l'ala creativa che sapeva sbugiardare il potere, mostrando che... il re era senza biglietto e doveva scendere dal pullman.
Le tessere sindacali strappate a Torino sono una prima presa di coscienza, adesso speriamo di vedere arrivare dal 1954 tanti tram impazziti che scorrazzano senza meta come quello guidato da Mancini, sbucando nelle città di provincia per raggiungere poi le metropoli precettate (precettate, un vocabolo che marca il livello poliziesco a cui siamo arrivati: lo fece Kesserling nella Milano dell'Italia occupata del 1945) e anche quelle città che a macchia di leopardo decidono di rubare un tram a turno, facendogli prendere il volo come le ramazze di Miracolo a Milano.

adriano boano