"Morte accidentale di un anarchico"

Ormai è fatta! L'hanno aiutato a gettare definitivamente la vita

Sacco, Vanzetti, … Pinelli, Serantini, … Fantazzini. Ci sono eventi ricorrenti, ripugnanti per la brutalità con cui lo Stato esegue la condanna, che lasciano senza fiato. Pochi giorni fa ricevevo un’allarmata e-mail dalla mailing di El Paso: avevano arrestato Horst Fantazzini. "Di nuovo?!" Ho pensato; oggi ricevo la conferma di quell’allarme. "Morto". Ogni dubbio è legittimo: un irreconciliato irriducibile non si raddrizza più a 62 anni, dunque… E poi, alla sua età e con la vita che gli abbiamo fatto fare,… è facile che venga colpito da infarto… Soprattutto se si dà una mano alla natura. Fu un governo socialdemocratico a suicidare Baader, Ensling e Raspe, figuriamoci un esecutivo fascista…

Il film di Enzo Montelone (Ormai è fatta!) aveva dato nuova visibilità al caso di un compagno "famoso" negli anni Settanta, stretto nelle maglie della voglia di vendetta mai venuta meno agli "ermellini da guardia", contro cui i suoi cromosomi si ribellavano; il padre di Horst si chiamava Libero: nel dna era già previsto tutto, ma proprio tutto, anche quello che il film ritiene opportuno tacere.

Posizione abituale di Horst Fantazzini

Nonostante la faccia di maxibon Accorsi la pellicola aveva avuto nel 1999 ulivista il merito di spiegare all’Italia dei corrotti liberati, dei piduisti eletti sovrani, dei pentiti graziati per le loro infamità, che un ladro gentiluomo armato esclusivamente di pistole giocattolo che mai aveva ucciso godeva di un cumulo giuridico, calcolato sadicamente per prolungare per 30 anni la sua detenzione a partire dalla sua ultima carcerazione. Il racconto era tratto da un’autobiografia introvabile edita nel 1974 da Bertani e che speriamo, ora che non possono più temere la sua fierezza irrimediabile, venga rieditato (oppure che in barba alla nuova legge sulla riproduzione, i compagni che lo hanno in casa ne facciano milioni di fotocopie). Il non pessimo Monteleone dovette per ragioni di distribuzione glissare su alcune questioni, edulcorare il materiale e dare spazio ai sentimenti; ovviamente non guastava spingere sul pedale dell’emozione derivante dai sentimenti di chi era stato vicino a Horst nella sua vita, evidenziando le scelte dolorose che l’accanimento carcerario impone; sicuramente era opportuno offrire un volto simpaticamente accattivante; certo che le lotte sui tetti e le botte che già una volta lo avevano portato al coma (Asinara), un’intera "esistenza contro", al punto da incarnare lo slogan "né con lo stato né con le Br", sfidate nel momento di maggior seduzione della lotta perdente opponendosi al centralismo democratico nelle lotte interne agli istituti di pena; la repressione patita senza mai piegarsi, erano tutti episodi irraccontabili per un’italietta narcotizzata. Ma comunque insinuare il dubbio che ci sia molta più criminalità nell’apertura di una banca piuttosto che nell’assalto a una sua filiale è già più coraggioso del 90% del cinema italiano (ed europeo).

Difficile era arrivare a essere coraggiosi come Horst, tuttavia raccontare l’episodio più dirompente della sua vita – il tentativo di fuga da Fossano – utilizzando stereotipi del cinema italiano del periodo in cui si andava a svolgere (gli anni Settanta italiani , ma anche Quel pomeriggio di un giorno da cani, pochissime volte ripreso negli ultimi vent’anni, nonostante Al Pacino sia tra i più apprezzati attori del mondo) per renderlo epico senza rinunciare alla componente umana, sono stati comunque un buon intento. Si poteva forse dare più rilievo alla consapevolezza di un detenuto capace di avere sempre la lucidità di individuare il nemico e i mezzi per difendersi senza venire meno alla propria dignità e riconoscendo quali meccanismi erano messi in atto per vanificare la resistenza, avrebbe sicuramente avuto un valore beneficamente devastante inserire il suo epitaffio contro gli intellettuali organici al movimento, ma quanto del folto pubblico che ha assistito a una delle proiezioni del film avrebbe capito? Piuttosto, a due anni di distanza dai dibattiti sul film e su una figura di anarchico adamantina, lo ritroviamo troppo solo per sopravvivere al nuovo potere autoritario, soltanto la – temporaneamente – ultima vittima della repressione.

Adriano Boano